a Paolo
«È per la felicità come per la verità: non la si ha, ma ci si è. Felicità non è che l'essere circondati, l'esser dentro, come un tempo nel grembo della madre. Ecco perché nessuno che sia felice può sapere di esserlo. Per vedere la felicità, dovrebbe uscirne: e sarebbe come chi è già nato. Chi dice di essere felice mente, in quanto evoca la felicità e pecca contro di essa. Fedele alla felicità è solo chi dice di essere stato felice. Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine: ed è ciò che costituisce la sua dignità incomparabile».T.W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino
P.S.
Son quasi sicuro di aver riportato questo brano un paio d'anni fa ma non riesco a ritrovarlo, forse perché non gli avevo messo l'etichetta giusta. Lo riporto, anche perché ripetere fa bene, soprattutto quando ci sono passaggi così sublimi di pensiero.
Interessante questo concetto della felicità declinato al solo passato.
RispondiEliminaChissà se inconsciamente pensavo a quello, mentre scrivevo. Pure, sarà una cosa letta mille anni fa.
RispondiEliminaOra noto, mercè tua, che questa descrizione di Adorno, ben si adatta alla relazione tra pensiero e parola:
anche il pensiero lo si può solo essere. Infatti, quando decidi di trasportarlo in parole, verosimilmente qualcosa rimane impigliato a quei rami da cui la nostra realtà verbale è preclusa.