«Gli
scrittori di questa generazione [fine Ottocento]
odiavano la società borghese perché essa non concedeva alla
personalità questo margine di libero sviluppo. Essi si volgevano
verso i ceti inferiori, perché là vedevano i propri compagni nella
sofferenza, soprattutto nella repressione della personalità. Essi
divennero “socialisti” in seguito a confusi sentimenti
messianici. Via via che le loro idee diventarono, almeno
soggettivamente, più consapevoli, e che essi si volsero sempre più
decisamente verso il problema dello sviluppo della personalità –
il loro vero problema cardinale –, andò dileguandosi il loro
interesse per gli ideali socialisti, e in pari tempo essi
cominciarono ad allontanarsi dal Naturalismo, che era diventato ormai
per loro un abito troppo stretto. […]
Il
notevole poeta lirico Detlev von Liliencron […] esprime chiaramente
lo stato d'animo dell'epoca del superamento del Naturalismo:
“No, le assurdità socialdemocratiche non le capisco. Quel che capisco è l'anarchismo.. questo mi piace, perché qui viene fuori direttamente, senza ipocrisie, l'orribile animale da preda che ha nome uomo”.
Le
simpatie anarchiche, in molti casi legate a Nietzsche, sono generali
in questo periodo, ma pochissimi gli scrittori in grado di esprimere
le conseguenze di questa svolta con la schietta disinvoltura mostrata
qui e altrove Liliencron. Egli non si perita nemmeno di dichiarare
apertamente che tali simpatie anarchiche si possono benissimo
conciliare intimamente con l'accettazione dell'imperialismo. Egli si
chiede una volta che cosa troveranno i posteri nel suo poema epico
Poggfred, e risponde:
“... la miseria filistea del tran tran quotidiano; l'ipocrisia sociale, morale e religiosa; il vile punzecchiamento di tutti i forti impulsi; e, ciò nondimeno, l'irrefrenabile volo della fantasia personale, la gioia indistruttibile per l'esistenza naturale, per le avventure dell'amore, della guerra e dei viaggi per il mondo; ma soprattutto l'illimitato umorismo dell'uomo di mondo che si affida solo a se stesso, che davanti ad ogni bassezza dell'umano destino finirà sempre per dire: Je m'en fiche.”
Qui
l'imperialismo è approvato apertamente e senza ambagi.»
György
Lukács, Breve storia della letteratura tedesca, Einaudi,
Torino 1956 (traduzione di
Cesare Cases).
È
una grande tentazione quella di dire, più o meno tra i baffi,
«davanti ad ogni bassezza dell'umano destino»
“me ne frego”, vada a farsi fottere il mondo, tanto è
irredimibile, disastri,
storture, carneficine che non hanno fine e tante facce tante che
ripetono, ipnotiche, che «dobbiamo procedere con coerenza
e senza battute d'arresto sulla via delle riforme».
La
via delle riforme battuta da decenni più della Salaria. Quante
puttane, quanto lavoro, quanti soldi sprecati. Il pensiero, soprattutto, che si è smarrito a forza di procedere con coerenza.
La coerenza non è più la bussola adatta per orientarsi in un mondo d'incoerenti...
Ma come conciliare il fottersene e il rifiuto dell'«imperialismo»?
Ora ci dormo su.
Temo che non avrai trovato risposta al tuo risveglio...
RispondiEliminaNo, infatti. Perdipiù mi sono svegliato alle 5:30.
EliminaSpero non ti dispiaccia se ho linkato questo tuo post da me, per una questione di "dilemmi".
RispondiEliminaTe ne sono grato. La diffusione di dilemmi mi appassiona.
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