«Perché dimentichiamo i morti? Perché non ci servono più.
Un triste o un malato lo dimentichiamo - respingiamo - in ragione della sua inservibilità psichica o fisica.
Nessuno mai si abbandonerà in te, se non ci vedrà il suo tornaconto.
E tu? Credo di essermi abbandonato una volta disinteressatamente. Quindi non debbo piangere se ho perduto l'oggetto di quell'abbandono. Non sarei più stato disinteressato, in questo caso.
Eppure, a vedere quanto si soffre, il sacrificio è contro natura. O superiore alle mie forze. Non posso non piangere. E piangere è cedere al mondo, è riconoscere che si cercava il tornaconto.
C'è qualcuno che rinuncia pur potendo avere? Questa carità non è altro che l'ideale dell'impotenza.
E allora, basta con la virtuosa indignazione. Se avessi avuto denti e astuzia avrei raccolto io la preda.
Ma questo non toglie che la croce del deluso, del fallito, del vinto - di me - sia atroce a portare. Dopotutto il più famoso crocefisso era un dio: né deluso né fallito né vinto. Eppure con tutta la sua potenza, ha gridato "Eli". Ma poi si è ripreso, e ha trionfato, e lo sapeva prima. A questo patto chi non vorrebbe la crocefissione?
Tanti sono morti disperati. e questi hanno sofferto più di Cristo.
Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente.»
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1952 (28 novembre 1937).
Stasera sono indisposto. Di vita. Ho bevuto allora. Buoni bicchieri di rosso sangue di terra. Si chiamava Fornace e mi ha attraversato. Sono così stordito, e brillo che a stento trovo i tasti della tastiera. Ma pigio lo stesso perché sento salire il calore della terra. A volte il vino è così traditore che ti fa credere di essere eterno. È un attimo, principesco. Canti qualsiasi cosa ti venga in mente. E socchiudi gli occhi in cerca di un sogno particolare, quello preciso che ti rende inevitabilmente infelice al mattino perché non è vero. Ma ora sento che viene a raccontarmi una storia: ma pretende il letto e l'oscurità. Buonanotte.
Pavese scrive bene e ti fa sentire cose che altrimenti non riusciresti a capire. Ma anche tu non scherzi. L'essere inebriato dal vino che tu definisci "sangue di terra" descritto come lo descrivi tu alla tua maniera col tuo stile fa riflettere e fare un paragone sulle diverse reazioni sulle persone, ma che a differenza di altri, forse non avrai bevuto troppo, a te lascia molta lucidità e t'influenza solo aumentandoti la stanchezza. Comunque, come al solito, stimoli la curiosità di leggerti, sempre.
RispondiEliminaAnia
In musica si potrebbe esprimere con la "sinfonia dei topi" degli Afterhours...
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