«Oggi le porte sono spalancate per gli aspiranti letterati, per i dispensatori di parole stampate; tutti sono disponibili come spettatori, e in cambio vogliono recitare una piccola parte, ricevere un piccolo applauso: ma proprio ora, dietro il grande spettacolo, serpeggia la grande paura. Già preoccupante è la spensierata bonomia, la totale assenza di timore con cui i potenti guardano agli uomini della cultura: per questo concedono, con evidente disprezzo, la più sfrenata libertà alle loro esibizioni, nonostante che esse fingano di essere pericolose e incontrollabili. È il rovesciamento della posizione oscurantista: più si diffonde e si scatena la fabbrica delle parole, meno c'è da temere da lei. Ma la schiera sempre più folta di coloro che svolazzano attorno al miele della cultura è invece sgomenta, nell'oscuro presentimento che i suoi inganni verranno svelati, i suoi gusci saranno infranti, e che alla fine prenderà la parola un rappresentante dell'autorità: non sappiamo più che farcene di questi uomini dell'intelletto, se non come utili schiavi, brutalizzati e terrorizzati; è meglio per la società che costoro vadano in rovina. Questo è stato già detto, ma non da chi ha il potere di mettere in atto la minaccia.
Ogni espressione dell'intelletto oggi è debole e sa di esserlo. Si è incapaci di non reagire con violenza, quando la propria posizione è attaccata, anche lievemente. Per contro si è molto indulgenti verso le idee e le opere altrui, per poter essere a tempo debito risparmiati. È uno spirito corporativo, che mira a creare l'illusione della potenza, proprio perché la potenza non c'è, e tende a presentare come sommamente desiderabile l'appartenenza a questa comunità, mentre la verità è che ciascuno si sente abbandonato in un deserto di desolazione, avverte la propria sterilità e impotenza, intesse interpretazioni cavillose a danno delle gioie del mondo, e soprattutto ha il terrore di essere spazzato via da un momento all'altro».
Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano 1974
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