sabato 8 settembre 2018

Il guaio di un Paese


« Il guaio maggiore delle statistiche sull'occupazione è che tendono a farci considerare gli uomini come se fossero patate. Quando si cerca di tener presente il fatto istruzione e lo stato psico-fisico del lavoratore si fa un passo avanti nella direzione giusta, ma un passo ancora troppo piccolo. Nelle statistiche sull'occupazione un Michelangelo apparirebbe semplicemente come “scultore: 1”. Se le statistiche fossero abbastanza progredite l’unità figurerebbe nella categoria “artigiani (o artisti) con più di 10 anni d’istruzione”. E tutto finirebbe lì. Le statistiche di cui disponiamo lasciano fuori l’elemento più importante del fattore lavoro, e cioè l’elemento umano, il cui significato più profondo non si può – almeno non siamo ancora riusciti – a misurare in termini quantitativi. Ho citato il caso di Michelangelo e ho scelto un caso estremo. Ma senza arrivare a questi limiti è chiaro che una cosa è una massa di lavoro preparata, diligente, efficiente, capace di organizzazione e di cooperazione, e tutta un’altra cosa è una massa di lavoro ignorante, rissosa, disorganizzata e priva di motivazione. Per lavoro ovviamente non bisogna qui intendere solo gli operai, bensì tutti coloro che per un verso o per l’altro partecipano all’attività produttiva. Chi ha avuto modo per esperienza diretta di comparare società sviluppate e società sottosviluppate, riconoscerà volentieri che la diversità tra i due tipi di società sostanzialmente consiste nel valore del “capitale umano” così nelle classi alte come nelle classi basse. Il guaio di un Paese sottosviluppato non sta tanto nella mancanza di capitale o nell’arretratezza delle conoscenze tecnologiche quanto nella povera qualità del suo fattore umano: un Paese sottosviluppato ha imprenditori che valgono poco, operai che valgono meno, professori incompetenti, studenti che studiano poco, governanti che non sanno governare e cittadini senza senso civico. Per questo il Paese resta sottosviluppato. La mancanza di capitali e l’arretratezza tecnologica e amministrativa in certo senso sono più “conseguenze” che “cause” del fenomeno dell’arretratezza. »

Carlo M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna 1990, pag. 119

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