sabato 2 ottobre 2010

Cercherò di ricordare

«Oh mia cara, […] ieri sera, guardando una commedia alla TV, ho visto una donna che toccava un uomo con familiarità – un leggero tocco sulla spalla – e mi sono buttato sul letto a piangere. Nessuno mi ha visto. Tutti i detenuti, ovviamente, soffrono di una perdita d'identità, ma quel tocco leggero mi ha spalancato l'immagine terrificante dell'abisso della mia alienazione. Tranne me stesso, qui non c'è nessuno con cui io possa veramente parlare. Tranne me stesso, non c'è niente che io possa toccare e che sia caldo, umano, sensibile. Senza il calore del sentimento, la mia ragione, con le sue alte aspirazioni alla forza, alla luce, alla praticità, è completamente paralizzata. Mi viene imposto un nulla osceno. Io non amo. Io non sono amato, e solo a fatica riesco a ricordare l'estasi dell'amore. Se chiudo gli occhi e mi sforzo di pregare, piombo nel torpore della solitudine. Cercherò di ricordare. Ma nel ricordare, mia cara, eviterò per quanto possibile di citare scopate particolari o luoghi o vestiti o gesta di comprensione reciproca. Potrei ricordare il nostro ritorno al Danieli dal Lido dopo una meravigliosa giornata sulla spiaggia dove entrambi ci eravamo sentiti adescare quasi da tutti. Era l'ora nella quale la spaventosa, assolutamente spaventosa, orchestrina cominciava a suonare tanghi spaventosi e cominciavano a comparire le bellezze della sera, ragazze e ragazzi in abiti fatti a mano. Potrei ricordare questo, ma non voglio».

John Cheever, Il prigioniero di Falconer, Garzanti, Milano 1978 (traduzione di Ettore Capriolo)

«Dato e non concesso [ma io me lo concedo] che nell'immediatezza vi sia qualcosa del soggetto, e anche se ogni discorso sul soggetto è mitico e sgusciante [io sguscio volentieri], diremo che nel ricordo si ha un restringimento della sfera del soggetto. Non tutto il soggetto che era presente nel contatto viene conservato nel ricordo: qui il soggetto si scinde, e una parte, che era nel contatto, diventa oggetto del ricordo, mentre la parte rimanente è il soggetto ricordante. Di qui l'attenuazione della vivezza dell'immediato nel ricordo, poiché quello che là era soggetto è ora oggetto [...] Man mano che l'oggetto si distingue [ovvero man mano che vediamo noi là belli, come personaggi nel film dei nostri ricordi], ciò avviene alle spese del soggetto: questo perde qualcosa, una sua parte diventa oggetto [ma è difficile trovare registi a metter sotto contratto i nostri ricordi]. Noi possiamo ancora ricordare perché il soggetto è ancora simile, è l'elemento comune tra il contatto e il ricordo; chi ricorda è pressoché lo stesso che era nel contatto, ma ciò che viene ricordato non è il contatto come tale, bensì qualcosa di meno [ecco il nocciolo della questione], perché ne rimane escluso appunto il soggetto ricordante».

Giorgio Colli, Filosofia dell'espressione, Adelphi, Milano 1969

Vivere è una fabbrica di ricordi. È il ricordo che certifica di aver vissuto. Ma nel ricordo noi, soggetti, non ci siamo più, non siamo lì in quell'immagine che ci appare e ci riporta alle mente il tempo in cui eravamo felici (o infelici). L'attimo costruisce il ricordo, ma il ricordo ingoia l'attimo, se ne nutre. Si vive per ricordare e la nostra vita, se non fosse produzione di ricordi, sarebbe forse in sé vita felice o infelice. Ma che se ne fa il Grande Artefice, ammesso e non concesso che ce ne sia uno, di (dato di ieri alle 19,22) seimiliardieottocentosettantaquattromilionieottocentoquarantaduemilatrentaquattro produttori di ricordi? Li conserva tutti in una immensa mediateca? Senza considerare quelli dei produttori non più in vita e dei futuri. Ricordi, vissutezze, gettati nello spazio tempo a scrivere chissà cosa: il grande vuoto? L'unica speranza è che nel vuoto non tutto scompaia secondo le leggi della radiazione di Hawking. Che le nostre coppie di ricordi che appaiono sul «confine degli eventi» possano manifestare lo stesso comportamento bizzarro delle coppie di particelle e antiparticelle delle quali, sull'orlo del buco nero, una scompare e un'altra no. Che, insomma, sopravvivano nello spazio i nostri ricordi migliori. Cominciamo a selezionare (e a continuare la produzione).


3 commenti:

Anonimo ha detto...

non illuderti
non resterà niente
qualche traccia genetica nei nostri discendenti
nessun ricordo ci sopravviverà
per questo è nato il racconto
le storie narrate
le storie scritte

ma, in fondo, è meglio così

chi verrà dopo di noi vedrà tutto con occhi nuovi, senza zavorre di ricordi non suoi, non trovi?

Luca Massaro ha detto...

...eppure la tessitura dei ricordi che s'incrociano nel tempo e nello spazio mi fa venire un certo struggimento, mi fa sentire fratello a molta dell'avventura umana...

rom ha detto...

Sempre bello, leggere i tuoi post!
Non so cosa voglio dirti - forse a equilibrare? - ma nel leggere a un certo punto pensavo alla indicazione di un famoso psicoanalista, Bion, sull'assetto che dovrebbe avere uno psicoanalista davanti al paziente: "Senza memoria e senza desiderio".
Poi spiega cosa intende con "senza memoria", e queste spiegazioni potrebbero essere riassunte con la formula "cercherò di non ricordare".