«[...] incerto e atroce fu il cammino di chiunque pensasse l'Italia, in questi anni. Pensasse, dico, un'Italia moralmente cosciente e buona, dopo l'incoscienza e malvagità vissute e sopportate per tanti secoli. Credendo che solo da una vita morale più profonda potesse procedere un'Italia più calma e più vera. Chi pensò, o almeno sognò, o seguì in ogni giudizio il realizzarsi di questa teoria – che la vita morale fa l'uomo, e l'uomo morale fa la nazione, e le nazioni sono il mondo, ed è bene che siano nazioni, mattoni della casa del mondo –, chi sognò, o pensò questo, visse una vita amara, incerta e terribile […] Sì, gli uomini, i paesi, le loro storie si fanno, si succedono in questa lotta continua, è vero; è una legge da cui non si scampa. Ma se una volta almeno, in tutto questo monotono farsi e disfarsi di stati e modi di vivere, una nuova immagine dell'uomo si facesse avanti, si facesse cultura nuova, nuovo uomo, allora noi avremmo davvero un nuovo inizio, una nuova porta del mondo. Ma che cos'è che muta, nella storia, se non l'assegnazione dei posti? Muta forse il posto? No, il posto è uguale – il posto, nei secoli, sembra restare il medesimo: il posto di chi usa, abusa, e soprattutto non comprende. Mai che esca da queste vicende e ribaltamenti di stato e di potere una immagine nuova dell'uomo, una immagine disarmata e gentile di uomo libero, di appartenente all'umanità. No, questo si spera sempre, e mai accade».
Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi, Milano 1997
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