«Per i mercati, resistere ora alla penetrazione criminale sarebbe come resistere alla cannula dell'ossigeno». Walter Siti, Resistere non serve a niente, Rizzoli, Milano 2012.
A margine di questo post di Fabio Brotto, alcune considerazioni laterali.
La mafia (ovvero tutto quel fenomeno di criminalità organizzata che, per semplificazione estrema, è riconducibile a tale nome) ha vinto perché, in Occidente, in Italia anche, non ha più bisogno - necessariamente - di uccidere, di fare stragi (salvo alcune efferate eccezioni, s'intende).
Inoltre, la mafia ha indiscutibilmente immesso nei mercati la sua ingente mole di denaro e non poteva essere diversamente, dacché a) pecunia non olet; b) il denaro, se resta fermo, ammuffisce; deve entrare in circolazione per mantenersi in vita ed accrescere. Ed è entrato in circolazione nelle vene del debito: grandi, spaventosamente grandi quantità di denaro ripulito tengono per le palle gli stati molto più della lupara.
Dall'arresto dei Riina e dei Provenzano tutta una serie di giovani rampanti, beneducati e laureati nelle migliori università, ha preso le redini del capitale criminale e l'ha riversato nei mercati contribuendo, col suo sporco gioco al rialzo e al ribasso, alla fottitura delle economie nazionali.
Per la mafia tutto questo è stato facile perché, anche se essa ha mutato la sua natura belluina, ha mantenuto una “costituzione” dirigistica e gerarchica, conservando, altresì, una organizzazione, una determinazione e una unità d'intenti che nessuno stato ha, nemmeno gli stati autocratici.
La mafia continua a vivere e prosperare perché nel ripetersi costante (dannatamente costante) del dilemma del prigioniero, adotta sempre la strategia migliore per ridurre i danni al minimo. Lo stato non può permetterselo, soprattutto uno stato di diritto.
Che fare? Avvelenare i pozzi in cui i mafiosi si dissetano. Alcune soluzioni:
a) legalizzare le droghe (soluzione temporanea);
b) sovvertire il sistema capitalistico (ma non per diventare dei corrotti comunisti cinesi o cubani, cazzo).
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