Ieri, nella sezione R2 di Repubblica c'era un'intervista di Franco Marcoaldi a Vittorio Sermonti e un servizio sullo spettacolo TuttoDante di Roberto Benigni. Da ciò è venuto fuori quanto segue.
Per un italofono è
normale “conoscere” Dante Alighieri nella propria vita. Per la
maggioranza assoluta, la scuola è il luogo deputato dove si fanno le
presentazioni. Poi continuano a frequentarlo soltanto gli
appassionati e gli studiosi. Sporadicamente, qualcuno lo ritroverà
per strada o in una piazza affollata, raccontato e letto, o recitato,
o cantato da qualcuno che lo sa ripetere a memoria.
Io
Dante a scuola sì, ma poco, ma non per colpa dei professori, no. Per
colpa mia e stop. Poi, verso la fine degli anni 80, scopersi la
meraviglia della Commedia grazie
alla mediazione di Vittorio Sermonti (con la supervisione di
Gianfranco Contini).
Seguivo
appassionatamente l'emissione di ogni canto dell'Inferno,
registrandone alcuni. La qualità era balorda, il segnale di Radio
Tre a volte, a causa del tempo, sfrigolava. Così, per avere tutte le
puntate scrissi alla Rai che mi rispose, più o meno, così:
«Ci invii novantamilalire con un bonifico bancario e noi le inviamo
tutto l'Inferno in audiocassetta»
(Purgatorio e Paradiso dovevano ancora essere registrati). Così
feci, e ancora ce l'ho l'Inferno da
qualche parte.
Sermonti,
quindi, per me è stato ed è un mediatore straordinario che mi ha
consentito e consente di avvicinarmi e di restare vicino all'universo
dantesco. Mi ricordo, forse erano i primi anni 90, che su Rai Tre
c'era una trasmissione culturale che andava in onda sul tardi (mi
pare la conducesse Augias, ma non ne sono sicuro). Una sera era
ospite Sermonti e, a sorpresa, comparì Benigni. Questi, prima di
recitare il Quinto dell'Inferno, omaggiò Sermonti stesso per il suo
lavoro di lettura commento dell'intera Commedia.
Il pubblico plaudì l'interpretazione benignana, e anche Sermonti,
il quale sottolineò come l'arte interpretativa di Benigni s'inseriva
nel filone trobadorico dei
cantori di strada. Benigni fu bravo, effettivamente, lo è tuttora, a
volte quando recita
Dante. Bravo sì, ma Sermonti è un'altra cosa perché, appunto, non
recita, non solfeggia
Dante: lo legge, lo dice, lo detta – e ogni parola che la sua voce
fona manifesta tutto
il suo pieno significato, grazie alla perizia del suo commento che
precede la lettura. Soprattutto: Sermonti è bravo perché dà voce a
Dante e non a se stesso – e questo, a mio avviso, è il limite principale di
Benigni nel dire
Dante.
Beninteso: a
Benigni io voglio bene, a volte mi fa anche ridere*, anche se è
diventato troppo istituzionale per riuscire a sputtanare qualcosa o qualcuno. Avendo accettato di
buon grado il ruolo di buffone della repubblica, Benigni ha perso la
capacità di graffiare la carne del potere, di fargli male, appunto;
i suoi sono solo dei piccoli buffetti, dei pizzicotti che
rinvigoriscono culi flaccidi, trippe arrotolate, fiche tatuate, ecc.
Inoltre, non si può dire Dante mediante uno
spettacolo organizzato da Luigi Presta. No, perdio, no. E poi, quando vedi certa gente** tra il pubblico, uno come Benigni come fa a far
finta di nulla? Meglio dire Dante da soli in mezzo a un campo di
girasoli. Come faccio io per esempio, e senza far pagare il
biglietto. Ai girasoli, s'intende.
* Qualche volta sì,
Luigi, dài.
** Vedasi foto dalla 13 alla 20. Si prega di non sputare.
4 commenti:
Da un po' hai preso una strada più cattiva... Niente male!
Sicuro che la cattiveria paghi almeno il prezzo di un biglietto? ;-)
Allora, due piccioni con una fava, senti qui:
La mia prof di lettere al classico era nientemeno che la sorella di Michele Placido, quello che adesso parla di ironia del padreterno ecc.. Generazioni di studenti dell'Anco Marzio di Ostia potranno confermare che quando a Rita Placido si nominava Michele, lei perdeva il filo del discorso e iniziava a raccontare i fatti privati del fratello, con buona pace delle interrogazioni e dei compiti in classe in programma.
Ma il pezzo forte veniva quando lei, con aria sorniona, faceva a noi scansafatiche (con forte accento pugliese): "Se Dande ha faddo dando, non podede voi fare un dandino?"
Un bel dì andammo tutti a una matinee in cui Michele, tra l'altro, recitò Paolo e Francesca e quando si produsse in un "e la bocca mi baciò tutto tremante", tremando tutto davvero, con la voce e con il suo corpaccione, come un montone in crisi epilettica, capii che c'era una lezione da imparare su Dante, sul teatro e sulla poesia in genere. Una lezione che sto ancora cercando di capire, ma che sicuramente non poteva provenire da quel pulpito.
Come s'è fatto tardi, domani è lunedì. Buona notte!
Che bel ricordo, grazie :-)
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