Negli angoli della tua bocca vidi scriversi una frase intera, in corsivo, bello, classico, di quelli che i maestri e le maestre sanno ancora scrivere alla lavagna col gesso. La frase non so bene cosa dicesse, una specie di addio. Ti venivano facili gli addii, infatti. Tu non eri predisposta a rinchiuderti nel silenzio, o almeno: il tuo silenzio specificava benissimo cosa sottintendeva. Bastava un sorriso, con un angolo delle labbra diversamente inclinato, per capire che tu avevi in animo un superamento. Fosti brava, lo ricordo, e veloce. Non mi desti nemmeno il tempo di anestetizzarmi con un sorriso diverso dal tuo, magari più morbido e meno spigoloso, più accogliente e meno severo. Un colpo deciso - il silenzio divenne parola che rifiutava le mie parole che volevano tanto descriverti per catturare gli struggimenti che la vita raramente riserva.
Mi porto il tuo corpo nel cuore, tutto. I suoi movimenti. Se fossi un orologiaio saprei costruirne un meccanismo perfetto per sapere in quale ora del giorno darmi piacere. Ogni respiro con te aveva sapore. E la mente cercava di catturare ciò che non le era, non le è riservato.
Mi desti tanto, in poco tempo. Io quel tempo lo volevo fermo; ma non ero e non sono, ripeto, un orologiaio che sa, in qualche modo, catturarlo dentro una regola.
Una sera, mi ricordo, poche sere prima del tuo taglio finale, mi regalasti la gioia di bermi.
Da allora ho sempre ricercato la stessa sete.
2 commenti:
Hai sete di quella sete. E io ho sete di altri di questi racconti improvvisi e notturni.
Grazie Mel sei molto gentile. Spero di pioverli abbastanza...
;-)
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