Stanco, stasera torno a casa con una certa dose di cinismo e distrazione; cosa è successo fuori mi riguarda poco perché non è uno specchio - e scivolo nel mio solito concorrere alla produzione di pensieri scritti inutili, tanto per farmi chiarezza da solo, per inebriarmi del mio niente, del mio io che motteggia per trovare quel sorriso interno che non rappresenta il ghigno del risentito, ma il balsamo del disincanto.
Non saprei dire esattamente cosa vorrei e questo mi rende abbastanza certo di essere nel giusto, vale a dire che quel che ho e quel che sono, sono sufficienti a garantirmi una buona dose di autostima.
Sono quei due o tre minuti di consapevolezza che mi danno la percezione, forse errata, di sapere chi sono; ma poi passa - e ritorno nel mio incerto vivere, cercando di camminare come un equilibrista tra il rincoglionimento e la saggezza.
«Immerso nella vita, l'artista afferma di cercare una spiegazione dell'esistenza: che sono due cose diverse. Mi fa pensare al geologo che, caduto nelle sabbie mobili, cerchi di decifrare la composizione del magma che lo inghiottirà, senza curarsi del fatto, ben più importante, che quello stesso magma lo sta inghiottendo. Questa soluzione è per il geologo talmente scontata e irrefrenabile che ne trae una certa cupa vanità» Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Rizzoli, Milano 1973
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