Io stasera non vorrei essere, sarebbe più facile, non cercherei di scrivere per respirare. Non vorrei essere, perché l'essere ora è rinchiuso, ingabbiato, non riesce neanche a tossire per sputare fuori un po' di germe esistenziale.
Essere il non essere per un attimo, lo spazio di una sera, giusto il tempo per garantire un sovrappiù di esistenza all'accappatoio appeso che mi guarda, dietro la porta del bagno, non capendo perché stasera non gli dedichi nemmeno un pianto. E che dire del cuscino che mi aspetta: se io stasera non fossi, lui sarebbe certo più contento, si sentirebbe per una volta avvantaggiato e mi stringerebbe lui per farmi sentire come ci si sente a essere scambiati per un altro.
Sarebbe proprio il caso che stasera non fossi o fossi qualcun altro, uno che invece di star qui a scrivere menate prendesse a urlare e a strapparsi i peli pubici per aumentare l'intensità dell'urlo e della rabbia soffocata dal sibilo impercettibile del pc acceso, E invece non è il caso, il caso mi fa essere senza parole da aggiungere a quelle che ho già detto, parole dette proprio per provare a essere per davvero e non a stare sempre lì in bilico tra due sponde avverse, da una parte l'essere qualcosa piuttosto che niente e dall'altra il niente.
Nel mezzo scorre il letto e il cuscino di cui sopra, mia imbarcazione notturna dalla quale ogni tanto mi distacco per farmi un tuffo tra i sogni. Sogni fuori fase ai quali andrebbe registrato il minimo - come diceva mio padre della vecchia Cinquecento. Contrariamente a me, lui, essendo meccanico, ci riusciva. Io no. Per questo mi battono in testa i sogni, come se fossi diventato una campana. Ho i sogni batacchio. Ho il batacchio. Stasera me lo suono, come scriveva Henri Miller tradotto da non ricordo chi.
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