Una strada di
Roma. Un signore con il suo clarinetto intona Rapsodia
in blu. È bravissimo, ma nessuno si ferma ad ascoltare.
Allora posa lo strumento nella custodia, sale coi piedi sopra di essa
e inizia a parlare, e, nel volgere di poco tempo, la strada si
riempie di gente che ascolta quanto segue:
Fammi fingere, fammi
fingere ancora. Per il tuo bene, visto che ti piace ch'io finga quello
che tu, a torto, interpretavi come mia condizione permanente, il
carattere immutabile di un menefreghista che tiene le parole tutte
dentro e le riserva soltanto per il pubblico pagante e le elemosine.
Faccio pena, non lo
vedi, faccio pena io a suonare in quest'angolo di mondo, cappello in
terra e nessuno che mi dedichi un sorriso e quell'euro buttato lì
dal quel coglione glielo tirerei in faccia tanto mi fa incazzare che
non abbia capito che io non ho fame, non ho fame ho solo bisogno di
dire con estrema calma le cose come stanno.
Escono note, versi,
ritratti e alcuni dicono che sono un bravo artista, ma tu non puoi
saperlo, tu hai sempre girato il collo da un'altra parte, tu non mi
hai mai capito, ti sei rifiutata di farlo accontentandoti di quello
che non sono, di quello che a poco a poco non sono riuscito più a
rappresentare, quel ruolo che tu pretendevi e che – altrettanto a
poco a poco – mi sono tolto di dosso perché non mi appartiene.
Per carità, anch'io
non mi sottraggo a una tua legittima critica equivalente, anzi la
pretendo perché sono consapevole dei miei limiti (sono tanti), dei
miei nascondimenti, delle fughe verticali per verificare se davvero
il silenzio tra noi fosse davvero minore del silenzio dello spazio.
Il disamore ha
presentato il conto: è l'ora di alzarsi, pagare, cantare forse:
Si
migliora a tutt'andare. Conviene
abituarsi.
Sembra che la vita
si
sia trasformata in un'infinita
coniugazione
del verbo star bene,
che
si muoia, ecco, a furia di guarire
da
tutto, mal di testa, mal di gola
malinconia
– le fidate, le sole
certezze
d'un tempo, o d'un avvenire
d'altri
tempi... Ma no, niente paura,
anche
senza far male i denti cadono,
la
memoria perde i colpi, la prostata
s'ipertrofizza,
la vista s'oscura:
si
celebra al netto d'ogni lamento
la
cerimonia del disfacimento.
Giovanni
Raboni, Quare tristis, Mondadori 1998
2 commenti:
Questo post è bellissimo, Luca: anche (direi soprattutto) senza la poesia di Raboni, di cui dopotutto l'unica cosa che ho sempre e solo ammirato sono le coscette della moglie.
In ogni caso bel post, che va dritto al (mio) cuore.
Grazie di cuore, Massimo.
Ti abbraccio.
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