«Se mi ripenso ragazzo mi ritrovo tutto assorto dentro di me. Tutto, intorno a me, era contro di me. Perché? Ancora oggi non so. Anzi, oggi so, che non è vero. Ma io fiutavo, ovunque, l'ostilità. Ostile l'ambiente fisico in cui crescevo, bottega e strada senza casa; ostile il mestiere, a cui mi pareva d'essere fatalmente avviato: ostili, perfino le persone più care. Persecuzioni immaginarie, ma ben reali, poiché ne soffrivo realmente, mi angustiavano, mi obbligavano a un fare guardingo, reticente, caparbio. Usavo, per difendermene, scientemente della bugia, del sotterfugio, dell'inganno.[...]
«L'idea di qualunque “mestiere” o “professione” mi turbava, mi disgustava. Cominciavo a sentire il lato straordinario della mia vita, senza darmene conto. Avvertivo in me una spinta, che mi pareva tutta di stolta presunzione, a primeggiare. Prodromi del politico? Forse; ma, allora, ero lontanissimo dalla politica, immerso in crescenti ambizioni di letterato, di poeta, di “giornalista”.»
Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, Rizzoli (6-8 dicembre 1935)
Prendiamo Renzi: io penso che, sin da piccolo, sin dai tempi dei boy scout, egli abbia avvertito in sé «una spinta»; certo è che, a lui, tale spinta non è mai parsa «di stolta presunzione, a primeggiare».
Ma se non l'ha avvertita (e non l'avverte) il problema non è suo, bensì in tutti coloro che gli hanno dato (e danno) credito e consenso, a dismisura, nel primeggiare.
Se una volta, per primeggiare, occorrevano doti dialettiche raffinate e retorica sopraffina, oggi sono sufficienti slide con degli annunci del cazzo, più selfie a bocca semiaperta, il tutto unito a quella sicumera di avere sempre le soluzioni pronte - con ciò significando una cosa sola: il vuoto della politica ha raggiunto un livello che, l'unico modo per riempirlo, è spingerci dentro un vuoto ancora più grande.
Nessun commento:
Posta un commento