sabato 27 settembre 2014

La coscienza che ronza

«Eppure c'è qualcosa, qualcosa c'è, dentro di me, che morde, morde. Non la coscienza – che non ho; non quella di prete Gigi almeno: ché io tengo coscienza onesta di lavoratore, che onestamente – sudando – se del caso ruba. Beh, chiamiamolo pur coscienza, il moscone che di dentro ronza e mai si posa, il moscone in volo da stamane, da sul greto del fiume, in volo sullo sterco dei sentimenti miei. E fin che la mosca ronza, la faccia non mi si smolla, no. La faccia non si smolla perché la mosca ronza, e ronzando ronza così: “Forse che... la è finita, forse, la giornata?” Ah, la lavativa, la mosca del poi; ah, la coscienza... la coscienza politica! Finiti per sempre i bei tempi beati, quando che se in mano ciài una micca, quel che ti resta da fare è mangiartela; finiti, i tempi corti della tattica: e cominciati, per me, i tempi lunghi, e stressanti, della strategia».

Giulio Del Tredici, Tarbatagai, Einaudi, Torino 1978, pag. 23

La strategia è: dargli ragione, farli andare fino in fondo, più o meno veloci, verso lo sfacelo, finché tutto sarà bruciato, tutto. Cenere come unico fertilizzante, nel caso ancora qualcosa avrà voglia e forza di germogliare. Ché ostinarsi a correggere, a suggerire, a protestare, a riformare. Non c'è da riformare niente, l'impasto è andato a male; ciò nonostante, a farci credere, gli impastatori, che qualcosa uscirà fuori dal loro lavorio riformatorio, un alcunché su cui la loro coscienza politica si posa: lo sterco dei loro sentimenti. 

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