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L'uomo dev'esser libero e franco nel maneggiare la sua lingua,
non come i plebei si contengono liberalmente e disinvoltamente nelle
piazze, per non sapere stare decentemente e con garbo, ma come quegli
ch'essendo esperto ed avvezzo al commerzio civile, si diporta
francamente e scioltamente nelle compagnie, per cagione di questa
medesima esperienza e cognizione. Laonde la libertà nella lingua dee
venire dalla perfetta scienza e non dall'ignoranza. La quale debita e
conveniente libertà manca oggigiorno in quasi tutti gli scrittori.
Perché quelli che vogliono seguire la purità e l'indole e le leggi
della lingua, non si portano liberalmente, anzi da schiavi. Perché
non possedendola intieramente e fortemente, e sempre sospettosi di offendere, vanno così legati che pare che camminino fra le uova. E
quelli che si portano liberalmente, hanno quella libertà dei plebei,
che deriva dall'ignoranza della lingua, dal non saperla maneggiare, e
dal non curarsene. E questi in comparazione [705] degli altri
sopraddetti, si lodano bene spesso come scrittori senza presunzione.
Quasi che da un lato fosse presunzione lo scriver bene (e quindi
l'operar bene, e tutto quello che si vuol fare convenientemente,
fosse presunzione); dall'altro lato scrivesse bene chi ne dimostra
presunzione. Quando anzi il dimostrarla, non solamente in ordine alla
buona lingua, ma a qualunque altra dote della scrittura, è il
massimo vizio nel quale scrivendo si possa incorrere. Perché in
somma è la stessa cosa che l'affettazione; e l'affettazione è la
peste d'ogni bellezza e d'ogni bontà, perciò appunto che la prima e
più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti della
vita umana, è la naturalezza. (18 febbraio 1821). »
Giacomo
Leopardi, Zibaldone di pensieri.
3 commenti:
Sempre sia lodato Giacomo il Grande!
...tu che dici, c'è qualche sopravvissuto?
Sì, quelli che con le uova ci fanno lo zabajone.
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