Non si aspettavano che la sorpresa di rivedersi avrebbe prodotto un tale effetto: le guance di entrambi sembrarono non volersi staccare da un saluto che si protraeva in maniera ingiustificata per gli astanti, giustificatissima per loro. Faceva così piacere ritrovarsi e sorridersi dopo tanto tempo che, infatti, le guance volevano recuperare il tempo perduto. Guance che erano sempre andate d'accordo, come il convesso e il concavo, e ciò gli consentiva di bisbigliarsi parole soffiate direttamente nella cavità auricolare, parole che amplificavano il senso di appartenenza. Sapevano di doversi qualcosa, ma non avevano mai avuto l'urgenza di precipitare i tempi dell'abbandono. Era un darsi controllato, che implicava un naturale senso di responsabilità e di analisi della situazione. Non era proprio il caso pretendere di più, perché si appartenevano soltanto come si appartengono due tessere di un puzzle, incastrate tra loro solo da un lato e gli altri lati invece ad altre persone diverse della loro diversa vita. In fondo, quando si erano conosciuti, la figura, che rappresentava il loro io, era quasi completata. Mancavano alcune tessere, appunto, per avere chiaro chi fossero; e anche se, in verità, il trovarsi non significava il completamento dell'intero puzzle, di sicuro consentiva loro un anticipo di compiutezza.
E stettero così finché una signora, che entrambi conoscevano di vista, presumibilmente irritata dal perdurare di tanta intimità, con aria fintamente distratta, chiese loro se avevano da accendere, forse perché facevano troppa luce.
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