lunedì 25 agosto 2008
dieci maggio duemilauno
Riflette la mia ombra sul cuscino
la tua ingombra sete di divino.
Giusta causa fu quella di dirti:
Bella, dimentica tutto, voglio rapirti.
Ti porterò su valli diagonali
ad inseguire vita tra i vitigni
e poi su laghi demaniali
a guardar danzare cigni,
cormorani, fenicotteri, strani
aironi, battelli pieni di bandiere.
Vedi: cime innevate; senti: lontani
spari, sassate, museruole nere.
Dei cani uccisi non v'è più traccia.
Non c'è che dire, altro occorre
che disperarsi e far che tacciano
i denti aguzzi di colui che corre
a più non posso e non si ferma
davanti a perdute strade dove ti persi
e dove stringe gole l'ignobile caserma
quando io, tu, gli altri non più diversi
saremo, ma resi disfatti simulacri
d'essere, assetati senza teste,
sepolcri imbiancati e scarni e magri
tagliatori infaticabili di foreste.
Non so più che dirti, solo: ferma, più
non muovere il desiderio infausto
di privilegiare il belzebù
di dare ascolto a questo esausto
rimatore che non trova
serene immagini per descrivere
il perverso disfarsi dell'alcova
del mondo dove tocca vivere.
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