martedì 13 gennaio 2009
Figli di
Ottimo articolo, sorprendente per forza e passione politica, del teologo Vito Mancuso su Repubblica di oggi (letto nell'edizione cartacea, in rete l'ho trovato qui).
Vorrei aggiungere solo una riflessione "critica" (sicuro anche che mastro Malvino farà più acutamente di me, presto, un post al proposito) a margine di questo passo:
«... in Italia i più ritengono che il singolo sia più importante della società, e per il bene del singolo non si esita a depredare il bene comune della società».
Più che il singolo, mi viene da dire che per gli italiani la famiglia è più importante della società. Da qui deriva il malcostume clamoroso del nostro paese del familismo e/o del nepotismo, che impedisce qualsiasi tipo di mobilità sociale. L'Italia è massimamente il paese dei figli di (o nipoti di), sia nel senso della frase "tengo famiglia", sia nel senso che, per ogni professione, siamo evolutivamente indotti a percorrere le stesse orme dei nostri padri; dall'agricoltura all'industria; dal dirigente all'operaio; dal farmacista al politico; dalla scuola al commercio, dal musicista all'avvocato o notaio eccetera eccetera. A volte con buoni risultati nel ricambio; ma perlopiù con lo scadimento naturale del sistema. Mi vengono, all'impronta, pochi esempi in cui questo non avvenga; uno è la poesia: non conosco nessun poeta figlio di un poeta (ma son pronto a ricredermi).
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