«Saper "durare" è certo prova di astuzia, prudenza, tenacia, capacità di ammassare forza. Ammiriamo i Romani, la Chiesa Cattolica, l'Impero Britannico per questo.
Ma se ci si vuol far pensare - come da un pezzo si vuole - che la capacità di durare negli anni e nei secoli, cioè di accumulare, mantenere e accrescere forza materiale, sia una prova di verità o di bontà del principio che nell'istituzione s'incarna, allora bisogna iscriversi radicalmente in falso, e dire che la durata di un'istituzione non significa assolutamente nulla quanto alla sua "bontà".
E si deve allora aggiungere che non la durata impertubabile ma la mutevole impermanenza è la caratteristica umana per eccellenza e che questa ci tocca, non quella affatto.
Vivere o morire - si deve insistere - non ha nessuna importanza: ciò che importa è che si conservi la propria identità, che si viva fermo in ciò che si è, e che si muoia tale quale si è stato.
Quanto alla volontà di sopravvivere a ogni costo, ci si può sempre contare, nelle istituzioni come negli individui, e non ha nulla di particolarmente ammirevole, nulla, soprattutto, di particolarmente significativo».
Ma se ci si vuol far pensare - come da un pezzo si vuole - che la capacità di durare negli anni e nei secoli, cioè di accumulare, mantenere e accrescere forza materiale, sia una prova di verità o di bontà del principio che nell'istituzione s'incarna, allora bisogna iscriversi radicalmente in falso, e dire che la durata di un'istituzione non significa assolutamente nulla quanto alla sua "bontà".
E si deve allora aggiungere che non la durata impertubabile ma la mutevole impermanenza è la caratteristica umana per eccellenza e che questa ci tocca, non quella affatto.
Vivere o morire - si deve insistere - non ha nessuna importanza: ciò che importa è che si conservi la propria identità, che si viva fermo in ciò che si è, e che si muoia tale quale si è stato.
Quanto alla volontà di sopravvivere a ogni costo, ci si può sempre contare, nelle istituzioni come negli individui, e non ha nulla di particolarmente ammirevole, nulla, soprattutto, di particolarmente significativo».
Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane - Taccuini 1955-1971, Il Mulino, Bologna 1995 (pag. 19).
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