La ragazza se ne stava distesa sul prato sul far della sera - la luna quasi piena - e di se stessa non aveva ricordo. Guardava lo scorrere veloce delle nubi maestose che ombreggiavano il chiarore lunare ma che, allo stesso tempo, permettevano di scorgere più nettamente i contorni, i rilievi, le venature della luna stessa.
La brezza leggera piacevolmente abbracciava le sue membra e finalmente cominciava a respirare. Dentro la casa ancora si svolgeva il caotico rumore della festa, dalla quale si era allontanata, come oppressa.
Tutta quell'allegria, quella forzata gioia di vivere - senza nemmeno accorgersi di farlo - tutto quel consumo sfrenato di bibite, cocktails, liquori, quell'ammassarsi di avanzi di cibo, tutto questo l'aveva schifata. E poi la musica incessante, martellante, continua, l'aveva perseguitata sin da quando il festino era iniziato.
Ai suoi occhi, le facce di tutti i presenti, dagli amici ai semplici conoscenti, erano diventate mostruose, ributtanti: doveva per forza scappare.
Eppure era sempre stata la prima a partecipare a queste feste, la prima a organizzarle, a provocarle; qualsiasi occasione andava bene purché fosse stata fatta festa.
Un brivido la colse al passaggio di un grande nuvolone tetro, dalla forma inquietante. Si scosse, si alzò, abbandonò il tappeto verde del giardino. Le era parso di sentire delle voci dentro casa chiamarla. Infatti. Non c'era tempo da perdere. Era arrivato papi.
2 commenti:
L'inizio è folgorante, mi ricorda da una parte Palomar di Calvino, dall'altra Thomas l'obscur di Blanchot. Continua, per favore.
Sto diventanto rosso in volto :-)
Spero che i tuoi complimenti (i tuoi "accostamenti" superlusinghieri) siano il combustibile per una possibile continuazione. Grazie.
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