«Si dirà che l'angoscia non è necessaria all'arte; all'arte in generale no, ma all'arte d'avanguardia sì. C'è poco da fare, il neocapitalismo avrà aumentato e generalizzato l'alienazione, ma l'ha anche resa più scontata e più fiacca, estraendone l'angoscia e proiettandola nelle viscere della terra o nella stratosfera, là dove si svolgono gli esperimenti atomici, oppure in quei remoti paesi coloniali e semicoloniali in cui si decidono le sorti del capitalismo: comunque in luoghi dove non si può arrivare durante il week-end e che restano sottratti all'esperienza dell'intellettuale, che non ha più nemmeno bisogno di lavorare in una società di assicurazioni. Non si possono più ricostituire artificialmente l'ambiente familiare e sociale, le condizioni di vita, gli orizzonti culturali, religiosi, politici entro i quali e contro i quali si sono formati Proust, Kafka, Joyce, Musil, Brecht. La borghesia non attraversa più una crisi morale e spirituale, semplicemente perché ha perso l'anima: l'ha venduta ai monopoli, ottenendone in cambio, sia pure a rate, la sicurezza che le mancava [¹]. Questo non significa la morte dell'avanguardia. Significa che i pochi veri visionari saranno sempre più rari e i molti gregari sempre più numerosi, rumorosi e noiosi. Essi si divideranno fraternamente la piccola alienazione, quella da elettrodomestici, da sbronze e da sesso. Ce n'è per tutti. [...] Con buona pace degli apostoli dei nuovi linguaggi, questi di per sé non sono che cortine fumogene spruzzate dalla cattiva coscienza dello scrittore che non sa che pesci pigliare. Quando c'è un nuovo contenuto, giusto o sbagliato che sia, ma comunque vivo e sentito, che importi l'enunciazione, l'Aussage [affermazione] di una particolare condizione umana, esso non si deposita in un nuovo linguaggio bensì [...] in una nuova forma» (1962)
Cesare Cases, Saggi e note di letteratura tedesca, Einaudi, Torino 1963 (pag. 356-7)
¹ Grassetto mio
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