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Non cessiamo forse di provare compassione quando la distanza o la piccolezza dell'oggetto producono su di noi lo stesso effetto che la privazione della vista ha sul cieco? Tutta la nostra virtù dipende perciò dal nostro modo di percepire con i sensi e dalla misura in cui le cose esteriori ci impressionano. Per questo non dubito affatto che molti, senza il timore del castigo, sarebbero più disposti a uccidere un uomo tanto lontano da apparire davvero grande quanto una rondine, che non a sgozzare un bue con le loro mani. Non è forse lo stesso principio che ci guida quando proviamo compassione per un cavallo che soffre, ma schiacciamo senza scrupolo alcuno una formica?»
Denis Diderot,
Lettera sui ciechi a uso di quelli che vedono 1749.
Le parole di Giovanardi non devono stupire: sono le parole di un uomo che vede in Stefano Cucchi non un altro uomo che ha avuto la tremenda sventura di venire ammazzato di botte per una sciocchezza madornale come quella di possedere venti grammi di fumo; per Giovanardi, Stefano Cucchi non è altro che una rondine lontana che, durante la migrazione, ha perso l'orientamento ed è rimasta sola, una semplice formica sperduta che non riesce a trovare la casa. Le sue ali sono state spezzate: che importa. Il suo corpo è stato pestato: pazienza.
La vita continua: ognuno ha la vista che si merita.
2 commenti:
L'eredità delle radici del crocifisso che vive in Giovanardi. Che pena che fa quest'ominicchio.
Mi chiedo se avrebbe usato le stesse parole se la famiglia Cucchi fosse legata a Cl.
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