Segnalo da
La Domenica de La Repubblica un superbo reportage di Jonathan Littell,
Ritorno in Cecenia.
Leggere cosa accade da quelle parti e tirare un respiro di sollievo per aver avuto in sorte di nascere, vivere, abitare altrove. Al confronto, cosa accade nel sud d'Italia con la presa sulla società della criminalità organizzata sembra addirittura più accettabile e vivibile.
La prosa di Littell è pregevole per stile e contenuto: occhio vigile e perspicace, grande padronanza dell'argomento, afflato, partecipazione e distacco. Appena posso leggerò
Le Benevole.
Sentite qui:
« È raro riuscire a rendersi conto di quanto le nostre rappresentazioni condizionino le nostre esperienze: in teoria lo sappiamo, ma ce lo dimentichiamo costantemente, e il nostro spirito vuole sempre credere che ciò che abbiamo visto, sentito e compreso concorra a creare una rappresentazione fresca e “obiettiva”. Quando Aleksandr Cherkassov mi dichiarava, a giugno: «L’inferno è diventato confortevole, ma è pur sempre l’inferno», o quando Oleg Orlov mi diceva che «il risultato di questa guerra interminabile, di questa colossale quantità di sangue versato, della violenza, è che ora laggiù stanno costruendo un sistema di tipo totalitario», io pensavo tra me e me: «Sì, forse, ma magari esagerano un po’, è talmente tanto tempo che sono dentro a queste faccende, gli manca la prospettiva». Tutti siamo invischiati nelle nostre rappresentazioni, questo lo sapevo bene: il mio errore era di pensare che le mie fossero più vicine alla realtà delle loro. E chi è che sa qualcosa della realtà? La realtà sono due pallottole in testa. E solo quelli a cui è successo hanno potuto vedere, per un istante più o meno lungo, la realtà piombargli addosso con tutto il suo peso, schiacciando qualunque rappresentazione, per sempre».
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