lunedì 25 gennaio 2010

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Cara Federica,
il tuo discorso apre le porte a un pensiero che, in Italia soprattutto (sto parlando delle democrazie dai costumi cosiddetti "occidentali") è ancora allo stato larvale: in fondo, sono solo pochi decenni che il divorzio è entrato a far parte del nostro ordinamento civile. In fondo, ancora, la potente agenzia Cultuale che è la nostra Religione Cattolica impedisce, di fatto, ai divorziati di comunicarsi (molti vivono bene lo stesso, pare; anzi: sono fieri portatori sani di alti valori cristiani).
Ma a parte ciò. Dovrebbero essere inventati i matrimoni a scadenza rinnovabile. Rari sono i casi di coppie che resistono. Troppi richiami. Là dove ci sono i soldi e potere è ancora più facile separarsi, cambiare, finire.
Ma, soprattutto, difficilmente ci si accorge di essere in due a volerlo. Difficilmente si prende la decisione insieme di strapparsi di dosso l'altro/a. C'è sempre uno/a che fa il primo passo e l'altro/a che lo subisce come un affronto, come un fallimento. Fallimento che tributa subito all'altro/a. E subito s'indossano i panni della vittima. E poi ci sono spesso i figli, i parenti, gli amici, le varie fazioni e il dramma cresce e s'ingrossa e il vinto senso di colpa di colui/colei che ha preso la decisione si fa ancora più minimo, svanisce d'incanto; di pari passo, invece, cresce la rabbia di colei/colui ch'è stato lasciato, che vuole fargliela pagare a quel/quella maledetto/a.
Ripeto la soluzione: precarizzare i matrimoni con contratti a tempo determinato li renderebbe, forse, più appetibili. All'avvicinarsi della scadenza, la coppia si mette a tavolino e... decide di nuovo se continuare e impegnarsi a tener viva l'unione con la persona a cui aveva giurato amore... fino a quel giorno lì.

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