giovedì 21 gennaio 2010

Viva soltanto la confusione

Scena: le mura di Atene. Entra Timone

TIMONE «Ch'io mi volga a riguardarti, o muraglia che recingi quei lupi! Affonda nelle viscere della terra e non difendere più Atene! E voi, o matrone, datevi all'incontinenza! L'obbedienza non si conosca più ne' fanciulli! I servi e gli stolti strappino i Senatori gravi e grinzosi dalle loro panche, ed amministrino la legge al loro luogo! E voi, verginità in boccio, convertitevi all'istante al meretricio pubblico. E fatelo pur sotto gli occhi dei vostri genitori! Tenete duro, bancarottieri, e invece di restituire i danari, cacciate fuori il coltello e tagliate la gola ai vostri creditori. Servi sotto contratto, rubate! ché i vostri padroni son ladri ancor essi e saccheggiano a man salva, anche se a regola di legge. E tu, o servetta, va pure a giacerti col padrone, perché la tua padrona è al bordello; e tu, figlio sedicenne, strappa la gruccia imbottita di sotto l'ascella del tuo vecchio padre azzoppato, e picchiandolo con quella, fagli schizzare il cervello fuor del capo frantumato! E pietà e timore, e devozione agli dèi e pace, e giustizia, verità e reverenza tra le pareti domestiche, riposo notturno, buon vicinato, istruzione, costumi, arti e mestieri, gerarchie, riti, consuetudini e leggi, venite pur meno nei vostri rovinosi opposti, e viva soltanto la confusione! Pestilenze che colpite gli uomini, accumulate le vostre febbri potenti e infette su Atene, che è matura per la distruzione! E tu, o fredda sciatica, rendi storpi i nostri Senatori, così che le loro membra possano diventare zoppe quanto i loro costumi! E voi, lussuria e licenza, prendete a strisciare e negli spiriti e nel midollo della nostra gioventù, così che questa si dibatta avverso la corrente della virtù e affoghi all'incontro della dissolutezza. Rogne e schianze, disseminatevi sul petto degli ateniesi, e il vostro raccolto sia una lebbra generale! Il fiato infetti il fiato, così che la loro società e la loro amicizia sian fatte soltanto di veleno! Non voglio portar via da te nient'altro che la nudità, o Atene aborrita [Finisce di togliersi le vesti e le getta contro le mura della città.] Prenditi ancor questo, con le mie maledizioni senza numero. Timone se ne andrà nelle foreste, là dove troverà che le bestie selvagge son tuttavia più miti dell'uomo. Gli dèi confondano gli ateniesi sia dentro che fuori le mura. Ascoltatemi, voi tutti, o dèi benigni! E concedete che, insieme con la vita, possa crescere in Timone anche l'odio per tutta la razza degli uomini, umili o potenti che siano! Amen».

William Shakespeare, Timone d'Atene, Atto Quarto, Scena Prima, (trad. Gabriele Baldini 1963), BUR Rizzoli, Milano 1987.

P.S.
Ogni riferimento a Maurizio Gasparri è puramente casuale

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