sabato 13 marzo 2010

Ancora sul riso degli angeli

«Non riesco nemmeno per un momento a immaginare un uomo al di fuori di Dio. Perché l'uomo con gli occhi aperti non vede né tavolo né finestra, vede Dio. Ma Dio non gli dà un attimo di tregua. EGLI non ha limiti, EGLI infrange quelli dell'uomo che LO vede. Ed EGLI non dà tregua fino a che l'uomo non GLI assomigli. Ecco perché EGLI insulta l'UOMO e insegna all'UOMO ad insultarlo, insultare LUI. Ecco perché ride nell'UOMO di un riso devastante. E quel riso che conquista infinitamente l'UOMO, LO priva di ogni capacità di comprensione: esso raddoppia quando, dall'alto delle nubi che il vento disperde, EGLI vede quello che sono; raddoppia se, costretto da un bisogno lungo la strada, MI VEDO, vedo il cielo vuotato dal vento.

Tutto si dissolve, ebbi la forza di annientare ogni possibile nozione, così come, in un impeto di rabbia, si rompono dei vetri. Poi, non sapendo cosa fare, imbarazzato dalla scenata, mi chiusi al gabinetto.
Nel momento di una passione senza oggetto, cantai, ma lentamente, come per sotterrare il mondo, ma gioiosamente, sull'aria maestosa del Te deum:

DEUS SUM
NIL A ME DIVINI ALIENUM PUTO

Tirai lo sciacquone e, coi calzoni giù, ritto in piedi, mi misi a ridere come un angelo».

Georges Bataille, L'abate C., [1949?], Bollati Boringhieri, Torino 1992 [trad. Roberta Ferrara].