mercoledì 27 aprile 2011

La mia azione politica

La mia azione politica. La mia inazione. La mia nazionale senza filtro. Io ho provato a respirarti ma mi hai sempre lasciato l'amaro dentro. E le colline di ulivi diventano grige, come la tosse. Ho portato a frangere dieci quintali di idee: quest'anno friggerò con l'acqua, fa meno male, non rischio raggiungere il punto di fumo.
Stasera mi sento come Smerdjakov, figlio della Smerdjaskja. Sono disturbato. Il mio corpo risponde da qualche giorno con un transito irrequieto. Allora mi faccio un microclisma, alla camomilla, per andare, per andare, per andare, per capire, per capire, per capire. Uno Smerdjakov che ponza. Tipo il saggio Giorgio Bocca, o il ferino Giuliano Ferrara. Tutti Inquisitori bramosi di Mistero, di Fede, di Autorità. Non si fidano degli individui questi conservatori del cazzo. Si fidano solo di se stessi. Solo di sé e dei loro vari principi più o meno illuminati si fidano. Vogliono che il popolo sia guidato, condotto, perché hanno fretta di vedere un finto paradiso imporsi in questo inizio di apocalisse. Ah, ah.
Io sono un uomo buono (vorrei esserlo), un uomo che ha fame non di verità - la verità non sfama - ma di luce. Voglio uscire da questo misero sottosuolo nel quale mi sono cacciato. Rivoglio la superficie, un orizzonte sterminato dove l'unica ombra (l'unica rappresentazione) diventa quella che il nostro corpo frappone alla luce.
Il microclisma ha fatto effetto: sono andato di corpo. Ho capito che l'unico modo di sapere che ore sono è fare di sé una meridiana.
«Ogni Figlio ha il suo punto di origine dal Padre, e solamente da qui, o nell' odio o nel perdono, gli è permesso di tracciare il suo percorso»[*]
Esiste un punto nella vita di ognuno in cui, se si vuole diventare veramente se stessi, si deve fare il vuoto intorno a noi, e provare la vertigine della solitudine assoluta. Senza padri, madri, senza figli, né fratelli, né maestri, soli, come un punto solo nell'universo, perduti, completamente smarriti, abbandonati, vuoti. Acquisire la consapevolezza che solo la vita ci appartiene e che gettarla via negli occhi degli altri è tempo perso, perché tali occhi sono lo specchio deformato della nostra immagine. Solo le mani vedono, solo le mani costruiscono un incontro e spezzano il velo di Maya della rappresentazione. Solo le mani sono i segmenti che ci uniscono ad altri punti per formare costellazioni di carne. Ecco perché spesso, nel cuore della notte, mi sveglio di soprassalto e balbetto il Quinto Postulato di Euclide.

Nessun commento: