domenica 11 marzo 2012

Manifesti per la Cultura. Rivoluzionaria


«La cosa è naturale: le parole giustizia, diritto, equità, libertà [cultura] non hanno per sé nessun valore; acquistano valore appena sono pronunziate da qualcuno, e il loro valore è diverso se questo qualcuno è un operaio o un appaltatore, un contadino o un marchese.» Gaetano Salvemini, L'avvenire del partito cattolico, 1898, in Stato e Chiesa in Italia, Feltrinelli 1969.
C'è un accorato appello di Armando Massarenti sulla prima pagina della Domenica del Sole 24 Ore di oggi. «Noi, analfabeti seduti su un tesoro», è il titolo dell'articolo, che fa parte di una serie di interventi che la testata culturale propone da alcune domeniche per promuovere un Manifesto per la costituente della cultura, al quale hanno aderito numerosi personaggi di spicco della cultura italiana ed europea, insieme a molti altri liberi cittadini sensibili a tale tema.
Riporto l'occhiello dell'articolo:
«Il tasso di analfabetismo funzionale ha raggiunto livelli guardia. O l'azione di Governo sarà in grado di far fronte all'emergenza o per l'Italia il declino è certo».
L'analfabetismo funzionale sarebbe quello che una volta veniva chiamato analfabetismo di ritorno. Gli analfabeti di oggi
«sanno leggere “tecnicamente”, nel senso che per lo più riconoscono i caratteri, e sanno maldestramente far di conto. Peccato che nell'80 per cento dei casi non capiscano quello che leggono e non dispongano di quel minimo di attrezzatura intellettuale utile a orientarsi nel mondo […] E se nei paesi civili la media dei cittadini di questo tipo si assesta sul 20%, da noi le percentuali sono invertite».
E questo, lamenta Massarenti, accade in una nazione che è mondialmente riconosciuta come «il Paese della Cultura».
La Cultura potrebbe essere l'elemento decisivo per fare da traino al rilancio dell'economia e allo sviluppo globale del paese: ne sono convinti i redattori della Domenica dei Il Sole 24 Ore, tanto che oggi riportano, nelle pagine centrali dell'inserto culturale del quotidiano di Confindustria, esempi concreti di come «la cultura fattur[i]» e di come la creatività possa fare impresa.
C'è anche un trafiletto ove è stilata una proposta in 12 punti (rivolta al governo e al parlamento) volta a “stimolare” l'iniziativa imprenditoriale nel settore della cultura.

Tutto molto bello e interessante.
Quello che manca, però, all'analisi di Massarenti è immaginare cosa potrebbe accadere qualora gli italiani recuperassero il gap e diventassero degli acculturati funzionali, degli intellettuali capaci non solo di apprezzare e far profitto mediante il patrimonio culturale (di cui sono eredi), ma capaci, altresì, di pensare, ragionare, di guardare fuori del recinto del proprio tornaconto personale, di compiere uno “sforzo intellettuale” che rompa la “gabbia” dei fatti immediati in cui sono rinchiusi.
Se insomma gli italiani riuscissero a disporre «di quel minimo di attrezzatura intellettuale utile a orientarsi nel mondo» cosa potrebbe accadere?
Smetterebbero di seguire, da spettatori, lo sport (lo sport, per uno spettatore, non è cultura è assopimento della ragione) e diventerebbero dei paladini del FAI, dei volontari di biblioteche, degli amici dei musei, degli abbonati alle stagioni teatrali, degli archeologi della domenica, eccetera?
E questo sarebbe sufficiente per fare uscire dalla crisi il Belpaese?
Per quanto auspicabile questo evento sia, non credo che esso possa consentire un nuovo “miracolo economico”.
La vera cultura, in fondo, quando non è mero intrattenimento del principe, o distrazione, è accrescimento di sapere, di conoscenza, di spirito critico.
E aumentando lo spirito critico ci si accorge facilmente che è la struttura stessa del sistema capitalistico da cambiare, che è questo tipo di società da modificare, questa palese divisione in classi da abbattere.
E aumentare il sapere di solito apre gli occhi.

Sto leggendo Salvemini. Che potenza. Articoli scritti sotto lo pseudonimo UN TRAVET, e pubblicati in vari numeri di Critica Sociale del 1898.
Riporto un suo ragionamento, che era rivolto alle contraddizioni insite che sarebbero – secondo lui – scoppiate se e quando il partito cattolico avrebbe preso il potere. Siamo nel 1898. Leggiamo.
«[dicono i cattolici]. Noi vogliamo giustizia in tutti i rapporti sociali. Bravi! Prendiamo un rapporto sociale determinato, per esempio quello fra intraprenditore e operaio mentre fissano il salario del lavoro. Quando si avrà la giustizia in questo rapporto? Ed ecco che, di fronte al problema preciso, determinato, dal quale non si può sfuggire con quattro parole astratte, scoppia il dissidio [tra cattolici “ricchi” e cattolici “poveri”]. La giustizia del salario dev'essere necessariamente intesa in modo diverso dall'intraprenditore e dall'operaio; il primo sarà sempre portato a ritener più giusto il salario più basso, il secondo a ritener più giusto il più alto. L'economia liberale, astraendo dal giusto o dall'ingiusto, dichiara che il salario del lavoro dipende dalla libera volontà dei contraenti e dalla legge dell'offerta e della domanda. Ora, siccome nella presente società l'operaio non è libero di non lavorare e, per non morir di fame, deve vendere la sua merce-lavoro a qualunque prezzo, l'economia liberale viene ad affermare la omnipotenza dell'appaltatore e la schiavitù dell'operaio. L'economia socialista riconosce anch'essa il fatto evidente, che nella nostra società il lavoro è una merce, il cui valore dipende dall'offerta e dalla domanda; ma dice all'operaio: finché resterai solo, il tuo lavoro non avrà valore; riunisciti coi tuoi compagni di mestiere e, come l'intraprenditore nel gioco della domanda e dell'offerta cerca importi colla forza del capitale il salario, che meglio corrisponde al suo interesse, tu, colla forza dell'organizzazione, cerca d'imporgli il salario, di cui hai necessità per soddisfare i tuoi bisogni». G. Salvemini, op. cit., cap. V, «Il programma sociale dei cattolici. Cattolici conservatori e cattolici democratici».
E dunque, dando per scontato che le elites capitaliste sappiano già orientarsi nel mondo e che, quindi, è il popolo a dover acquisire quello spirito critico necessario per fare altrettanto, è presumibile che coloro che sono al potere ora facciano di tutto per non fornire alla moltitudine delle persone le attrezzature intellettuali necessarie per aprire gli occhi, organizzarsi e fotterli. O no? Quindi, gentile e illuminato Massarenti, di quale tipo di cultura, di sapere voi del Sole 24 Ore auspicate la crescita?

3 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

questa gente non si chiede mai il perché delle cose e quando, per sbaglio, s elo chiede dà risposte ideologiche.

anche Salvemini dà risposte ideologiche, adatte al suo momento storico. non basta più organizzarsi per ottenere salari più alti. i capitalisti sono organizzati meglio per salari più bassi.

potrei riportare qui tutto il cap. 23 del I libro de Il Capitale, ma so che non è necessario perché tutti lo conoscono molto bene.

C'è da oltre cent'anni una leggenda che vuole Il Capitale di Marx "difficile": non è vero e vi sono persino dei capitoli che si possono leggere come un romanzo storico

chi scrive su Il Sole 24ore non ha alcun diritto di parlare di cultura:
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2012/02/kultura.html

Luca Massaro ha detto...

Allora vado direttamente al 23 ch'io non l'ho ancora letto e mi fai arrossire. :-/

Luca Massaro ha detto...

Dimenticavo... ma avevo già letto - e apprezzato - il tuo post :-)