martedì 5 giugno 2012

Un attimo di tempo


– Scusi, che ore sono?
– La primavera e un quarto.
– Ma mi sta prendendo in giro?
– No, ho l'orologio fermo a quel pomeriggio, a quel valico che divide due vallate che offrono prospettive diverse e che Piero ebbe in gloria in certi suoi mattini di meditazione. Ho l'orologio fermo anche se non lo porto, abbia pazienza; ma io mi ricordo quell'attimo preciso in cui mi si fermò il tempo, in cui il tempo si rivelò in tutta la sua pienezza e la vita acquistò il suo pieno significato...
– Sì, buonanotte.
– No, «buongiorno alle nostre due anime»*. No, non se ne vada, abbia pazienza, ascolti, lei che tanto si preoccupa di che ore sono dovrebbe interessarle dove si trova il tempo, e io glielo posso dire, giacché ne ho avuto contezza or non è molto.
– D'accordo, aspetterò. Il treno è in ritardo, come sempre. Però l'avverto: non ho spiccioli, si accontenti della mia benevolenza.

Il tempo sta in una mano che ti ascolta, che ti raccoglie e trattiene. Una mano che parla e trasforma gli occhi in cristalli che riflettono il tuo essere. E i nostri occhi erano nei nostri occhi quel pomeriggio di quella primavera e un quarto. Avemmo insieme la netta impressione che, in quel momento, si stesse facendo la storia, la nostra. Perché è questo il tempo più importante: quello che non si subisce, quello che ci si coltiva addosso, quello in cui si sentono le nostre radici trovare un terreno comune. E quelle mani intrecciate, fissate nella nostra memoria, rappresentano questo. Sono lì, sotto quella veranda di un bar ristorante semideserto, con decine di tavoli vuoti e noi, ad ascoltare parole che ci attraversavano l'anima, la scuotevano, definendo quello che siamo. Tutto il tempo vissuto si precipitava addosso a noi e non ne sentivamo il peso, ma la risoluzione. Ed improvvisa ci colse la sensazione di essere al posto giusto e nel momento giusto, pienamente responsabili di dirci per un attimo – attimo di tempo – felici.

– Hanno annunciato il treno, la devo salutare. Le confesso che non ho capito molto cosa sia il tempo. Mi è rimasta solo la vaga sensazione che sia qualcosa che vada vissuto.
– Sì, può essere. Buon viaggio. Ecco. Il tempo va vissuto in viaggio, qualcosa così, se così si può dire.

* John Donne, Il buongiorno, traduzione di Cristina Campo.

2 commenti:

melusina ha detto...

Questa tua pagina è un piccolo capolavoro sommesso, che salverò fra i tuoi migliori in apposita e gelosa cartella.

Luca Massaro ha detto...

Come posso fare i complimenti a simili complimenti? Non posso, appunto, e ti ringrazio con un sorriso largo come la faccia della luna :-D