lunedì 19 agosto 2013

Mi pare poco

Bastia, il porto vecchio e la cattedrale di San Giovanni Battista ieri sera
La barista del bar della nave veloce che mi riporta in Italia - capelli castani un po' crespi, tenuti insieme da una coda di cavallo approssimata; faccia severa che offusca persino il lucore dei suoi grandi orecchini d'oro - non mi degna di uno sguardo nonostante io sia da alcuni minuti davanti a lei al registratore di cassa per pagare il caffè prima di prenderlo, solo questo, di solito nei bar che non conosco mi comporto così. E invece no, così non dovevo fare, dovevo fare la fila, dire «Un caffè» quand'era il mio turno, avrei pagato poi. Ma chi cazzo lo sapeva, non volevo passare avanti agli altri, solo pagare, il caffè me lo avrebbe fatto quando sarebbe stato il mio turno, e invece no, dice la barista, così le scombussolo i piani ordinati di evacuazione dell'orda caffeinomane dei naviganti saliti all'alba a stomaco vuoto, e perché in fondo è lei che tiene la cassa e che fa il caffè insieme, mentre l'altro suo giovane collega si limita a distribuire, a chi li vuole, croissant surgelati poi riscaldati, francamente disgustosi, e a sparecchiare il bancone - ma questo lo si capisce dopo, mica al volo. Che metta le istruzioni, suggerisco, come quelle ben illustrate a video per indossare il giubbotto di salvataggio. A questo punto, a collo torto, si decide a farmi il caffè anche se, chiaramente, avrebbe preferito non farmelo e mandarmi a fare in culo - cosa che ha sicuramente fatto, in corpo in corpo. Chissà dove finiscono gli accidenti e i vaffanculo che si mandano e si ricevono. A volte ci penso, anche se è un pensiero inutile. Sono tensioni proletarie che si sciolgono in vacui esercizi di potere. Giochini di ruolo in cui ognuno, dalla sua posizione, esercita un potere velleitario e ininfluente. Ci si controlla a vicenda, dentro uno spazio perimetrato che assomiglia a una prigione. Guai a invadere, a mettere i piedi nel territorio altrui: potremmo aver voglia di prenderci a brani, o di abbracciarci - due modalità di esprimere la stessa disperazione.

P.S.
Il titolo del post è un rimando al titolo del post odierno di Olympe de Gouges.
Ah, vacanza corsa finita. Adesso casa.

2 commenti:

melusina ha detto...

Ah, la Corsica, ci sono stata qualche estate fa da innamorata persa! (e poi, al ritorno, ovviamente patatrac)

Luca Massaro ha detto...

Occorre ritornarci, insomma. ;-)