A questo diagramma (trovato qui) occorrerebbe aggiungere un altro sotto-insieme per specificare quante sono le persone che hanno un'idea di come gli Stati (Uniti e disuniti) e le multinazionali sanno controllare i nostri movimenti, i nostri gusti, le nostre attitudini, le nostre preferenze, in pratica quanti siamo a sapere che, mediante internet, portiamo voti all'altare della Sorveglianza.
A me sembra, per il momento, di agire secondo le leggi in materia, rispettando i principi del nostro codice civile e penale: tuttavia, quanto del mio uso, o meglio: del mio essere dentro internet - produzione (blog, un po' di social network) e consumo (letture, ascolto, visioni) - potrà un giorno essermi imputato?
No, il discorso non tiene. Mi sembra di parlare come se alla fine del salmo, del mio salmo (scrittura e navigazione) ci sia un Giudice supremo che deciderà se dovrò essere punito o premiato. Il punto è diverso. E non è neanche mio particolare, individuale. È collettivo. Adesso la Sorveglianza - dicono - è mirata a controllare terrorismo e criminalità. E finché non ci comportiamo da terroristi o da criminali non dobbiamo preoccuparci. Per esempio: non mi devo turbare se le mie telefonate o le mie navigazioni sono registrate; non mi devo inquietare se, per esempio, Google o Amazon o Facebook sanno cosa cerco, cosa desidero e cosa acquisto, dove vado. La [mia] preoccupazione, casomai, dovrebbe essere di altro tipo, ossia che internet si trasformi in qualcosa di più insidioso e invasivo della televisione, che diventi contenitore che costringe e soffoca pensieri e azioni dentro un recinto determinato dal sistema, un rodeo dove ci si illude di domare il vitello d'oro della possibilità offerta dal mercato. Tutti abbiamo un'enorme libertà di navigare negli spazi sconfinati del sapere, sì, ma tutti, prima o poi, ricadiamo nello spazio confinato del sapere unico.
«Te la mettono lì, la libertà è alla portata di tutti, come la chitarra. Ognuno suona come vuole e tutti suonano come vuole la libertà.»
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