Quando si parla di cose non essenziali, che non toccano quello che m'interessa veramente, mi piace essere coinciso sino all'estremo, perché preferisco perdere tempo per niente - per esempio veder gocciare sul pavimento un ombrello allo stipite della porta, osservare che tipo di piccolo lago si forma e, quando appare il Bajkal, sono tutto felice - che, invece, tirarla per le lunghe, farsi ridire le stesse cose come se non fosse stato sufficiente averle ascoltate una volta, quando per capirle bastava uno sguardo, dio come ti fasciano bene il sedere cotesti jeans, ma veniamo al punto, ho detto che mi piace esser coinciso.
E così, dopo che ci siamo detti quello che ci dovevamo dire, in modo preciso e dettagliato, è inutile girare a vuoto ripetendo lo stesso concetto, usando parole diverse. Parliamo d'altro, se non del tuo sedere, almeno dei tuoi occhi che vedono si fissano volentieri nei miei quando io parlo (almeno così mi dice vanità), proprio come i miei si appiccicano ai tuoi quando parli tu.
Forse per questo temi che quello che ci siamo detti, ovvero quello che abbiamo ascoltato l'uno dell'altra, l'una dell'altro, non l'abbiamo compreso perché eravamo distratti, cioè: io, ti è parso, ero distratto, perché parlando cercavo di far sì che i miei occhi non rivelassero quanto avevano apprezzato i tuoi occhi e il tuo culo; e tu, di contro, cercavi, parlando coi tuoi occhi, di farmi capire che il mio sforzo era vano, i miei occhi non erano stati capaci di nascondere quello che veramente volevano dire, cioè che il tuo culo era bello e i tuoi occhi di più e che in essi mi ci sarei voluto tuffare, come fossero un lago; per tale motivo, in un momento particolarmente topico della questione non essenziale che ci ha fatto conoscere, i tuoi occhi si sono apertamente fatti lago, sì, il Bajkal per l'appunto, però quello d'inverno, ricoperto in gran parte di ghiacci: «E prova a tuffarti adesso, coglione. Non ti distrarre e sta' attento a quello che dico».
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