sabato 15 febbraio 2014

L'io mondo

[all'Uovo oggi, lui forse sa perché e se non lo sa né lo immagina glielo dirò nei commenti]

Non so perché ritenga più intimamente giusto che l'io si sottragga alle chiamate mondane - anche se tutto è mondano, tutto è mondo, nel senso di privo di buccia - anziché mostrarsi, fiero, altero, sicuro di sé come se, in quel momento di sguardi e di ascolto concentrati su di lui, l'io ricevesse un sovrappiù, un sovraccarico di esistenza, roba che si potrebbe anche pesare un tanto al chilo sul piatto della vanità. 
È l'età del ritegno e non dell'impudenza. È l'età in cui uno pensa che la propria faccia non meriti più il rischio di diventare faccia a culo, rischio che, per gli impudenti, è facile correre; soprattutto, lo corrono diuturnamente tutti coloro che trattano i dubbi come si trattano i gas intestinali, un peto e via liberi, quale che sia il prossimo nei dintorni.
È il caso mio - non dei peti, ovvero anche di quelli ma non in questo caso, bensì dell'io che si trattiene e fatica a esporsi - poi mi pento, poi mi dico, potevo fare il bel fico, mettermi in vetrina e mostrare gli effetti speciali di cui sono capace, panico compreso.
Il fatto è che io non riesco più a mostrarmi senza la mediazione o la maschera della scrittura, perché - nonostante mi sforzi di colmarlo - tra scrittura e dicitura esiste uno iato, il detto fugge via dalle labbra senza l'intercessione dello sguardo e l'ausilio della correzione. Quando parlo, controllo rapidamente le parole con il sillabario della mente, ne verifico il significato, le approvo o le rigetto e, mentre tutto questo, più o meno rapidamente, si svolge nel mio cervello, l'interlocutore pensa: ma che cazzo volevi dire, Massaro, di preciso, perché non sei chiaro, anzi sei fumoso, farraginoso, a volte timoroso, come Pietro il giorno del rinnegamento,  come se tu tema che tramite la tua parlata si stabilisca che tu sei uno sporco galileo: «Certo anche tu sei di quelli: la tua parlata ti tradisce!» (Mt, 26, 73). Stai imprecando troppo, Massaro,  calmati. 
Sì, mi calmo, mi calmo, è facile calmarmi: trasformo la voce in digitazione mormorando le parole davanti allo schermo, virgole comprese. E a volte, anzi: quasi sempre, una virgola ben assestata, mi fa sentire meglio di un vaffanculo.

P.S.
Caro sguardo che se t'avessi visto prima avrei parlato, giuro, contraddicendo spudoratamente quanto soprascritto: sappi che t'avrei mirato per ore e ore come si mira un affresco di Piero della Francesca per farsi risucchiare dalla prospettiva.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Fidbac:
L' "Uovo Oggi" e Marino che lo ha deposto non hanno capito una sega. A Marino è piaciuta la parte della virgola ben assestata, all'Uovo quella del peto, dice che ci vede un'aria di famiglia.

Il "Noirtier Ieri" però ha detto che lo fa tradurre da un professionista schillato e lo fa leggere a callipigia; e chiede se vuoi essere citato come l'Autore.

Luca Massaro ha detto...

Mo te lo spiego e fanculo tanta cripticità: il tuo Uovo di Ieri - coreggimi se sbajo - m'è parso scaturito da una certa ammirevole ritenzione del dire quel che hai scritto là, subito, nell'immediato alla questuante. In altri termini: ciò che hai pensato ha trovato nella mediazione della scrittura la sua espressione, altrimenti, probabilmente sarebbe rimasto inespresso e avresti su di lei (e su noi lettori) lasciato una «cattiva impressione».
Il caso mio era riferito a una richiesta familiare di esporre dei pensieri cosmologici in riferimento a un caro estinto, precipuamente in una chiesa consacrata e dopo che aveva celebrato la messa un prete - ebbene, non me la sono sentita di andare all'altare a ripetere ad alta voce quanto avevo scritto pochi giorni fa perché ho temuto che sovraesponesse il mio io rispetto a quello dei famigliari più vicini alla morta.

Anonimo ha detto...

ben, ben, ben fatto.

...d'altra parte, perché altrimenti prendersi il disturbo di allevare un blog, se non per occasioni come queste?

(quanto all'Uovo: l'Arte (e quando non è Arte è 'guale) è finzione; o potrebbe sempre esserlo.