sabato 22 giugno 2019

La Giostra del Capitale

Tempo fa, dopo diversi anni, rividi Piercarlo. In un primo momento non credevo fosse lui, forse per via della barba e un'ombra di quelli che furono capelli. Ma la faccia a trapezio e gli occhi da lupo erano i suoi. Sicché provai a chiamarlo e lui, invece, mi riconobbe subito, anche coi baffi e il berretto sportivo Portaluri.

Come va, come non va. La vita che passa. Corsi e ricorsi, insomma: i convenevoli, i consueti scambi di battute tra vecchi amici che, tuttavia, avevano tempo per non limitarsi a quelli; infatti, decidemmo di andare a prendere un caffè, tra l'altro in un bel posto, un bar con una splendida veranda affacciata sul corso cittadino. Questo, naturalmente, dette modo di interrompere il flusso delle proprie personali vicissitudini, per inoltrarci - come accadeva di frequente quando eravamo studenti universitari - in discorsi filosofici sui massimi sistemi, e addentrarci financo in quelli di carattere prettamente esistenziale.

«Sai, ci sono vari modi per aggirare il problema della felicità», concionò Piercarlo. «Il primo, il più efficace, è non cercarla, evitando - per quanto possibile - d'imbattersi nell'infelicità. Dato che - converrai - la felicità non esiste, ma l'infelicità esiste eccome, sarà possibile essere felici soltanto nella misura in cui saremo in grado di evitare di essere infelici. Certo, molti non saranno d'accordo con la presente affermazione. Molti - e cioè tutti coloro che, diversamente dalla mia opinione, credono che la felicità esista veramente».
«Beati loro», interloquii.
 «Beati?», proseguì, «Credi davvero che chi afferma con sicurezza di essere felice per il fatto stesso di essere vivo, che considera cioè la vita stessa fonte di felicità a prescindere, possa ritenersi beato?».
«Rettifico: contenti loro. E tu, Piercarlo, non sei contento di essere vivo?».
«Ecco, lo vedi anche tu che essere vivi non è una condizione sufficiente per ritenersi felice, così come non lo è credere che saremo felici una volta morti. Se, per certe questioni, si possono imbrogliare gli altri, è difficile, se non impossibile, ingannare se stessi».
«Dunque ritieni che non esista alcun criterio oggettivo per dichiararsi effettivamente felici?»
«Rentier a parte, credo di no».
«Ah, la condizione sociale...»
«Già. E per continuare con il Marx dei Manoscritti, finché “la vita stessa appare soltanto come mezzo di vita”, ed è il tratto comune nella società capitalista, tra l'essere vivi e l'essere felici non vi sarà mai piena corrispondenza».
«Ne ha di strada da fare, dunque, la nostra specie per dare a ciascuna singola vita, e concretamente, il famigerato diritto sancito dalla costituzione americana».
«Più che di strada da fare, parlerei di direzione da prendere, giacché le condizioni tecniche ci sarebbero tutte se fossero svincolate dal...»

La conversazione fu interrotta, bruscamente, dall'arrivo di un corteo composto da decine di figuranti con costumi medievali che marciavano, alcuni facendo squillare a pieni polmoni le loro chiarine, altri sventolando delle bandiere multicolore. La Giostra del Saracino aveva il suo inizio.

«Pensa - proseguì Piercarlo - pensa se al posto dei Quartieri ci fossero gli Stati e se al posto del Buratto ci fosse il Capitale. Pensa...».


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