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Saranno anche impossibili i sogni, ma
io ci credo, non mi resta che crederci, dato che essi forniscono materia al mio canto –
e io di cantare ho un bisogno assoluto, come un orecchio ha bisogno di
ascoltare, come un vecchio ha bisogno di un nutrimento particolare:
carezze all'anima de li mortacci vostri, carezze nel tempo prossimo della dipartita verso
il mondo ch'è mondo di tutto, persino della morte.
A volte però mi prende lo sconforto
che questi sogni stiano in piedi solo sui miei piedi. Forse sarei più
credibile se, invece di offrire le mie illusioni, offrissi quelle di
consolidate fedi, religioni con un pacchetto di credenze
millenarie prêt-à-porter che si perpetuano di generazione in generazione: dentro il
recinto della fede, con altre pecore obbedire ad un pastore che ci
manda i cani a controllare che non perdiamo la diritta via, giacché
potrebbe esserci il lupo che ci aspetta o, peggio, pecore travestite
da lupo.
Preferisco non essere credibile.
Preferisco non essere credibile.
Certo, i nostri sogni vanno spesso
tosati, sfrondati, ripuliti, e poi verificati con una cartina di
tornasole per vedere se diventano rossi o azzurri, cuore o mente, o
una miscela delle due cose. Ma una volta esaminati, occorre farli camminare,
per costruire ponti, per intrecciare fili, per innaffiare giardini
complicati, per incrociare sguardi, per acquietare gli urli, per
dirimere questioni, per sorridere agli specchi con la lingua di fuori così il vetro si appanna e ci si può scrivere...
- Adesso si svegli, signore. Mi racconti il suo sogno.
2 commenti:
(...) E cosa scrivi sullo specchio appannato? :-)
quanto scritto sopra.
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