«Le finestre, come è ben noto, sono state il conforto della letteratura in prima persona di tutti i tempi».Vladimir Nabokov, Fuoco pallido, 1962 (traduzione di Bruno Oddera, Guanda, 1988)
Domenica, mi affaccio, vedo le facce verdi delle foglie di castagni, noccioli e girasoli ancora senza sole, il bianco di gigli scompigliati da un vento affaticato, margherite che si aprono al sole dopo il grigio dell'alba per dare luce al prato di trifogli. Uno strano insetto che, dall'apertura alare, sembra uno stukas, si appoggia al vetro chiedendomi di uscire. Prendo una manica di camicia sporca, lo catturo, apro la finestra, vola - e con le antenne mi dice che soddisferà un mio desiderio, basta che mi decida a esprimerlo entro due secondi. Fatto. Ero già pronto, ne avevo uno in tasca, bello puro, non mimetico, su questo ci scommetto l'anima, ammesso e non concesso che io ne abbia una. Il Papa mi direbbe di sì, visto che sono passato a cresima un giorno di una lontana primavera, avevo i capelli a caschetto e ricordo il dito unto di un vescovo che forse ora è morto e chissà se aveva l'anima unta come quel dito sulla mia fronte. Di quel giorno ricordo solo un regalo: un masterd mind formato tascabile che mi portò un mio cugino da Londra. Ero bravino a scoprire la soluzione. Anche ora ne ho una: camminare. Vado.
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