Ieri ho scorto un “editoriale” di Ceronetti su La Stampa. In occasione del cambio di sede del giornale, Ceronetti parla della sua “carriera” di articolista ed elzevirista del quotidiano torinese; e volentieri l'ho letto riuscendo a trovare, per la prima volta, le ragioni per cui - ritengo, per me - non valga più la pena leggerlo come facevo prima, cercarlo compulsivamente in tutti i suoi lavori editoriali, teatrali, ecc.
È una questione personale. Ceronetti è stato uno dei capisaldi del mio pseudo autodidattismo, ovvero della mia ricerca extra-scolastica di punti di riferimento, guide, maestri.
Non so perché lo scelsi, o meglio lo so: per il suo stile, per il suo continuo indicare una via nell'incerto vivere, manifestando le sue preferenze, le sue letture, giudicando aspramente questo e quello e, soprattutto, per il suo non essere di nessuna scuola, né tantomeno di alcun partito.
Ceronetti col suo vegetarianismo estremo (sono stato anch'io vegetariano: di più: macrobiotico), col suo bere tè verde (io non sapevo nemmeno dove cazzo comprarlo il tè verde e, quando lo trovai, me lo feci piacere a forza quella bevanda dal sapore e dal colore di piscio); Ceronetti e la sua poesia francamente brutta e di difficile lettura, ma come e quanto ci ho provato a leggerla! niente, non va giù; Ceronetti sublime traduttore, anche di poesia, viaggiatore straordinario, scrittore aforistico eccellente, corpo, anima, profetismo, Spinoza e la Maya desnuda (mi estasiavo davanti al suo celebrare la bellezza alchemica della donna - anche se non sapevo cosa diamine c'entrasse l'alchimia con la fica).
Dunque ieri, in tale editoriale, ho trovato un passaggio che mi offre la possibilità di spiegare perché non sopporto più tanto leggerlo ancora.
«In via Marenco, tornandoci dopo due o tre mesi, non ricordo quale anno fosse, vidi sui tavoli della redazione una filza di lavagne nere [presumo monitor ndb], con i redattori seduti di fronte, per lo più immobili, che impugnavano un tasto premendolo incessantemente. Mi domandavo: si può licenziare un articolo passabile in un simile stile di scrittura? Ho potuto constatare che è possibile riuscire leggibili, ma l’abbandono di ogni rapporto reale con la carta e l’inchiostro sta avendo già conseguenze incalcolabili, non qui soltanto ma in tutto il mondo.»
Ecco, quel che non sopporto più in Ceronetti è l'abuso del tono apodittico; scrivere: «l'abbandono di ogni rapporto reale con la carta e l'inchiostro sta avendo già conseguenze incalcolabili», sicuramente per lui negative (conoscendolo un po' lo posso dire), senza portare, a conforto della sua tesi, alcuno straccio di prova o di piccolo esempio - questo me lo rende uggioso.
Ti rifiuti di avere un computer (anche di scrivere tale parola ma poi la scrivi) per scrivere
«Non ho mai considerato l’ipotesi di surrogare la portatile [macchina per scrivere ndb] con l’ordinatore (mi è difficile scrivere computer)».
va bene, ma non puoi sostenere che la scrittura, da quando si usa una tastiera qwerty elettronica e non meccanica, è andata a farsi fottere e la lettura pure. Non è così, ma se per te è così spiegami perché, sennò non ti credo e, peggio, non ti leggo più, dacché, contrariamente a quanto sosteneva il tuo amico Léon Bloy, la salvezza non viene più dagli ebrei. Piuttosto da un compùtero (come tu lo chiamasti, italianizzandolo bellamente, e ora non ti ricordi manco più di averlo fatto).
5 commenti:
Che tristezza.
Sì, è un altro modo per dire che si diventa vecchi.
Anch'io amai Ceronetti, Il Silenzio del corpo l'avrò riletto decine e decine di volte, ma ormai bisogna farsene una ragione.
Ceronetti se la tira.
Già. Eppure, non so come, considerato anche che se comprato un telefonino beghelli o brondi, mi aspetterei da lui un tuffo carpiato nelle braccia di un tablet, con software libero s'intende.
Temo non sia solo o soprattutto vecchiaia, che in ogni caso sarebbe perdonabile, anzi rispettabile. Mi sembra piuttosto la presunzione eccentrica e patetica di distinguersi dal gregge, rifiutando di avvicinarsi a certi strumenti moderni per orgoglio o per paura di farci brutte figure. Non è saggio chi non sperimenta, chi oppone pregiudizi. O chi anche solo posa.
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