« Feyerabend parla di teatro (e di cinema). In che senso il teatro giova alla filosofia? Nel senso che mostra il Galileo di Brecht; dove si affronta uno dei massimi problemi filosofici, quello del ruolo della ragione nella società e nelle nostre vite private, ma sulla scena non vanno concetti e didascalie, bensì il problema in tutte le sue sfaccettature e anche incongruenze. E al pubblico è richiesto non di concentrarsi passivamente ad «ascoltare la ragione», ma di "distrarsi" a seguire le facce, i gesti, i toni e quella che si potrebbe chiamare una «fisiognomica» dell'argomentazione. Solo in quel modo, dice Feyerabend, si neutralizza l'«autorità», perché la manifestazione "fisica" della ragione irrita i nostri sensi, suscita i nostri sentimenti, fino a condurci a una valutazione davvero serena e obiettiva in quanto mette in mora gli stessi criteri razionali e ci porta a giudicare la ragione stessa, piuttosto che ad usarla per giudicare tutto il resto. »
Alessandro Pagnini, “Il teatro di Feyerabend”, La Domenica de Il Sole 24 Ore, 28 ottobre 2012
Un buon numero quello della Domenica odierna. Segnalo tre recensioni. Quella sopra da cui ho estratto citazione; e poi, di Sergio Luzzatto, “Nascite artificiali, una storia naturale” da cui estraggo:
Questa è una storia di esperimenti scientifici, di colture e provette, ma è anche una storia di pronunciamenti dogmatici, di allocuzioni papali e decreti inquisitoriali. Paradossalmente, la storia incomincia da un prete. Incomincia da Lazzaro Spallanzani, il sacerdote emiliano professore di storia naturale all'università di Pavia, che negli anni Settanta del Settecento pervenne a realizzare in laboratorio fecondazioni artificiali sia extracorporee sia intracorporee. Rane, salamandre, cani: l'abate Spallanzani sperimentò un po' su tutto, e teorizzò le proprie scoperte in un articolo enciclopedico del 1779, Fecondazione artificiale. Per parte loro, i maggiori rappresentanti europei della Repubblica delle Scienze non tardarono a riconoscere come esplosive le implicazioni delle sue ricerche. Da Ginevra, Charles Bonnet scrisse a Spallanzani nel 1781: «Non è detto che la vostra recente scoperta non abbia un giorno nella specie umana applicazioni che noi non osiamo pensare, le cui conseguenze non sarebbero certo lievi. Voi mi intendete...».
E infine segnalo, anche se non ancora reperibile, la recensione di Massimo Firpo al nuovo libro di Miguel Gotor Santi stravaganti. Agiografia, ordini religiosi e censura ecclesiastica nella prima età moderna, Aracne, Roma 2012.
2 commenti:
la "concentrazione passiva" è una di quelle puttanate che - secondo il mio modesto e inutile parere - andrebbe espulsa dal regno della filosofia e da molti altri regni (tutti quelli che hanno a che fare con la ragione, almeno). se ti concentri fai qualcosa, quindi non puoi essere passivo. infatti un sinonimo è "fare attenzione". ma chiaramente sbaglio io, la filosofia è quella roba di chiacchere in libertà che sembrano liriche e dimostrano l'appartenenza al ceto superiore, non un'indagine seria...
non sbagli, almeno credo.
Ma forse non hai visto il "non" prima di concentrarsi passivamente :-)
Comunque, nella segnalazione della recensione di Pagnini ravvedevo un buono spunto su come considerare la ragione faccia all'«autorità».
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