I was touched by
your care,
reduced to fawning
excuses.
Poco a poco
l'idea della vera via mi risovvenne.
Fui toccato dalla
tua attenzione,
ridotto a scuse
adulatrici.
John
Ashbery, Wakefulness [Stato di veglia], 1998, in Un mondo
che non può essere migliore, Luca Sossella editore, Roma 2008
Non è facile gestire la tristezza, soprattutto quando ti assale in momenti che meno te lo aspetti, sei lì che cammini nel sole e nel verde, senza nemmeno una mosca a romperti le palle. E invece eccola, proprio quando la tua mente stava rimettendo in fila gli accadimenti politici dell'ultimo semestre (e se tristezza viene non è certo dovuto al ricordo di Enrico Letta): la fila si sganghera, le labbra si stringono, gli occhi si inumidiscono senza un preciso perché. Le mani sono le uniche a capire la situazione: presto frugano nelle tasche alla ricerca di uno dei pochi fazzoletti rimasti: c'è da tamponare una lacrima e il naso da liberare. Soffiarselo già porta sollievo e la considerazione che piangere concilia il sono, nel senso dell'essere.
Una volta scaricata in muco e lacrime, la tristezza evapora e ritorna nel circolo della malinconia. Quella nuvola bianca improvvisa nell'azzurro del cielo mi ricorda qualcosa infatti, qualcosa che ora non c'è più.
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