Sapessi esattamente i pesci prendere quali io li lascerei tutti in acqua, in virtù del mio lasciar vivere agli altri le vite che si trovano a vivere, anche quelle da pesci. I miei occhi lo sanno che in fondo ai tuoi si trova l'approdo, il marinaio che va in pensione stanco di navigare, l'amo e l'amore, pescati. Ci sono le padelle e te intorno soffriggi, danzi, prepari sostanze, nutrimenti che vanno aldilà del rapporto tra carboidrati e proteine. Tu, i minerali - e i miei capelli lo sanno, quelli che scarsi restano impigliati nelle tue dita di melanzana. Il profumo è un discorso a parte, la fame non si fa urgente, è la presenza costante di uno stato di - permettimi di dirlo, profanando - beatitudine, così la concepisco, per varie ragioni, intrise di fanciullezza, di ricordi che riaffiorano spolverati di farina, il senso della tavola come affezione, la grazia che si amplifica nei gesti rapidi della rigovernatura. Il tutto bene è vero, il sorriso che l'accompagna pure. La mente non ce la fa a pensare un oltrebene, sta qui concentrata, compatta, composta tra forno e lavastoviglie, tra raccolta differenziata e scolapiatti in alto (nelle gocce d'acqua soprattutto che, lente, scendono giù a colpire il culo dei bicchieri). Il microonde, il pane, la presa per non scottarsi, le stoviglie mescolate, il sibilo leggero del frigo. Cosa scrivo sulla lavagnetta adesso che sei qui? Cosa scriviamo insieme, quale memento? Comprare i bruscolini?
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