«Il controllo industriale sfugge ai capitalisti. La “persona” del capitalista si rivela ogni giorno più dannosa alla produzione, deleteria per la vita sociale [...]
Il capitalismo è riuscito finora a “costringere” gli operai a lavorare. Direttamente col terrore (minaccia di licenziamento e contrazione dei salari) e indirettamente con lo stimolo della concorrenza (cottimi, premi ecc.). Il paziente lavoro dell'organizzazione ha spezzato quest'arma affilata del capitalismo: gli operai hanno realizzato formidabili concentrazioni umane e hanno posto fine al regno della concorrenza nel mercato della forza-lavoro. Gli industriali tendono al monopolio del mercato internazionale dei prodotti [...] È un momento essenziale della rivoluzione industriale e politica [...] Momento critico e pericoloso. Il capitalista non può licenziare l'operaio o abbassarne il salario [non poteva ndb]: si morde i pugni, stipendia i suoi sicofanti del giornalismo e della “scienza” economica liberale, fa riempire l'aria di veementi diatribe contro la tirannia delle organizzazioni [sindacali], o, più astutamente, di bambagiose dimostrazioni scientifiche dei pericoli cui va incontro la civiltà, per colpa dei demagoghi che spingono la classe operaia all'abisso [...]
La soluzione di questo nodo gordiano? L'espulsione del capitalista dalla fabbrica, la conquista dello Stato da parte dei proletari e l'instaurazione del regime dei “Consigli”. La diminuita volontà di lavoro degli operai è in relazione colla loro più intensa partecipazione alla vita politica, coll'accresciuto loro senso di responsabilità sociale e storica. Non si lavora, quando si è costretti a rimanere in continuo allarme verso l'attività dello Stato borghese, quando si è assillati dalla preoccupazione che le mene oscure delle critiche plutocratiche che detengono il potere possono precipitare nuovamente i popoli nell'abisso della guerra».
Antonio Gramsci, La volontà di lavorare, «L'Ordine Nuovo», 7 giugno 1919
«Anche se non ci riempiamo la bocca di inutili esortazioni a produrre, sappiamo anche noi che la fabbrica deve sviluppare la produzione, perché la produzione è la civiltà ed è la ricchezza. Ma se l'industrialismo difende senza esclusione di colpi i suoi privilegi, e se lo Stato continua a prestare man forte al padronato contro il proletariato, sarebbe un delitto se lasciassimo incantare gli operai dalle chitarronate della ‘pacificazione sociale’».
Id. Dopo la vittoria dei metallurgici, «Avanti!», 29 settembre 1919
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