Non
sono riuscito a farmi una ragione perché non è mai restata con me
più di un minuto, non è mai voluta entrare nelle mie braccia e non
mi è mai sembrato il caso rincorrerla, trattenerla contro il suo
volere, al limite prenderla per i capelli come di solito gli uomini
stronzi immaginano di fare (e, ahimè, talvolta fanno) con le donne.
Con
il torto, invece – e purtroppo – ho sempre avuto più d'una
occasione, e in questo caso sono stato io a lasciarmela sfuggire
(l'occasione). Nondimeno, il torto mi resta accanto, mansueto,
sebbene non gli dia punta soddisfazione e lo tratti con somma
indifferenza. A volte mi fa anche un po' pena, tanto che mi verrebbe
voglia di prenderlo in collo, ma dopo lo so, addio, mi
s'attaccherebbe addosso e non ci sarebbe più verso di spiccicarlo.
Che mi segua come un'ombra è già abbastanza e se ho una passione
particolare per le ore crepuscolari è perché, in tali momenti,
riesco a distanziarlo maggiormente.
La
notte, il torto, va a letto presto, meno male, e in quel momento
provo a prendere appuntamento con una ragione, una qualsiasi, invano.
Gli addetti della segreteria suggeriscono di scrivere una mail dove
si spiegano i motivi, validi, per cui si vorrebbe passare una o più
serate con una o più ragioni. Malauguratamente io non so mentire e
scrivo che vorrei farmi una ragione perché ho bisogno d'affetto.
«Non è una buona ragione per scomodarne una», mi viene solitamente risposto. «Provi ad accogliere i torti: sono così comprensivi e affettuosi; vedrà che le toglieranno tante soddisfazioni. Sono così carini e disponibili a prendersi cura di chi li accoglie; per contro, la ragione è così strumentale, fredda, adattabile a qualunque scopo, subordinata all'assetto sociale esistente».
E
sia: cercherò di avere torto e farmene una ragione.
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