mercoledì 4 settembre 2019

Don't cry for me Angola

Sarà per via di Kapuściński, ma ho sempre avuto un debole per l'Angola. Così, ogni tanto, guardo volentieri notizie che arrivano da laggiù - sebbene spesso siano notizie sponsorizzate da agenzie governative o da multinazionali operanti nella zona. 
Nel servizio pubblicato oggi da Euronews si parla di agricoltura, in particolare di una grande fattoria situata nella provincia di Malanje (il granaio dell'Angola), che fa capo a Castel, produttore francese di vini che, in questo caso, coltiva mais in loco per produrre birra angolana destinata per lo più al mercato interno. E fin qui nulla di strano nell'edificante racconto delle magnifiche sorti e progressive del capitale (del fare business) in Angola. Quello che invece strano è vedere come in un Paese con 30 milioni di angolani (che presumo essere, almeno al 95%, di colore - concedo un 5% di bianchi lascito della colonizzazione portoghese), gli unici inquadrati occupino una posizione ben precisa nella divisione sociale del lavoro: alla catena di montaggio.

Avranno almeno una paga sufficiente per pagarsi quella birra francese del cazzo che producono?

1 commento:

Olympe de Gouges ha detto...

c'è stato di peggio della birra francese: i francescani.
tutti dediti alla povertà. forse con i gesuiti sarebbe stato diverso, avrebbero bevuto mate?