«Ci sono molti pensieri, io ne penso pochi. Essenziale non è ciò che penso, bensì che penso poco».
Bertolt Brecht, Storie del signor Keuner, Einaudi, Torino 2008
Riducendo l'azione del pensiero, si lascia più spazio (più energia) alla digestione, con buona pace del signor Antonetto. E la mano, anziché sullo stomaco e l'intestino tenue, scivola lentamente, ma inesorabilmente (Giorgione dixit) verso la zona genitale, là dove i pensieri si fanno faceti, perché non è più la testa a pensare, là-bas.
E, in certi frangenti, il pensiero non pensato dalla testa, ricorre ai tempi della scoperta d'amore, quando tutto era meraviglia e l'infinito sembrava a portata di mano, di lingua, di reni e di tutte le altre componenti connesse allo svolgimento delle funzioni sessuali.
Poi tutto diventa normale, l'amore diventa amore di testa e tutto finisce nell'affezione o nella disaffezione, dipende dalle circostanze, dalle trasformazioni e dagli impegni che la necessità richiede. La propria indole ha la meglio, cioè la propria testa con dentro i pensieri che distraggono dall'essenziale e riconducono l'io in balia del quotidiano, del gioco balordo del fare e del disfare, del commercio generale e delle marchette della pensione che non si accumulano più.
Ah, i sogni: ma sono esistiti, i sogni? O erano semplici pensieri?
E mi torna in mente la cometa di Halley, che apparve nel cielo di quando pensavo.
E, se mi permetto di sperare di rivederla, è per dirle che non la penso più.
1 commento:
insomma non siamo poi così negativi se ci chiamano teste di c...o, facciamo vivere l'amore meglio che non con la testa vera quella che abbiamo sul collo?
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