E crebbi,
e più non ebbi di te bisogno.
Staccai la spina da cotesto sogno continuato
quale tu fosti per me, bambino a te nato.
Uscii fuori, all'aria aperta, dal carcere tuo paradiso
e di lacrime (ricordi?) riempii il tuo viso;
e il ventre tuo riempii ricordi di cosa
d'una sostanza liquida vischiosa
che come pallina da golf faceva buca
nell'ombelico tuo a cercar un altro Luca.
Mi spezzasti in due e persi ogni discernimento.
Vagavo tra le nebbie e gli orti di un convento
a cercar novizie o qualcuna nel vicinato
da portare a teatro per dirmi che t'avevo dimenticato.
Oh, com'ero disperato, oh come ti cercavo in ognidove
tra i rivoli impetuosi che diventan Gange quando piove!
Rielaboro un sogno e un saluto di sfuggita:
un marito che spinge un carrello della vita
un figlio più alto di te che non s'immagina nemmeno
chi prima di lui t'abbia baciato a lungo il seno.
Son diventato ciò che sono
o sono ciò che sono diventato?
So solo che avrei dovuto rimanere più a lungo
tra le cosce tue in mezzo al prato.
Così a lungo da non uscire più
da non consentirti più alcuno scampo,
da imprigionarti con la mia ardente sete
che ti bevve le viscere — mia quiete
mio scandalo, mia pietra d'inciampo.
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