domenica 29 giugno 2008
Per il poeta Davide Rondoni
Sappiamo che l'etica cristiana condanna da sempre la sodomia, esercitata tanto sul maschio quanto sulla femmina, come trasgressione della legge di natura che finalizzerebbe l'uso del sesso alla creazione (non dimentichiamo che, al tempo di Dante, la sodomia, era, fra l'altro, la più divulgata pratica contraccettiva).
Ma Dante cosa ne pensava?
Per quel poco che ne sappiamo, Dante (...) impone alla pratica dell'eros la normativa della temperanza, alla quale personalmente sa bene quanto sia difficile attenersi. Non si direbbe, d'altronde, che il precetto della procreazione lo assilli. Ed è un fatto che il poeta sacro sottoporrà al medesimo fuoco e alla medesima contrizione espiatoria le intemperanze dell'omosessualità e quelle dell'eterosessualità (...) nel più nobile e quotato girone purgatorio.
Ma allora, in cosa consiste la Violenza-contro-natura magistralmente punita nel settimo cerchio dell'abisso?
Non c'è bisogno di avventurarsi in crasse sottigliezze di tecnica erotica, per consentirsi il sospetto di capirlo: consiste, forse, nel deliberato sopruso morale che il pederasta esercita sul ragazzo, soggiogandolo col prestigio intellettuale, con le seduzioni del potere politico o economico o mondano, e comunque con le prospettive del losco e tiepido privilegio di appartenere ad una setta. E nel basso Medioevo sappiamo che la pederastia, suffragata dal mito e dal costume greco, era quasi vizio professionale degli uomini di cultura, chierici o "litterati grandi" che fossero, quasi il blasone d'una spregiudicatezza, tanto più raffinata quanto più inconfessabile.
Il nostro lessico ci tenta a questa formula: non la trasgressione omosessuale, Dante danna in eterno, ma l'intimidazione pederastica.
Vittorio Sermonti, L'Inferno di Dante, Rizzoli, Milano, 1988, pp. 224-225
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