sabato 28 giugno 2008

Pur snobbando gli dèi, D maiuscolo incluso




Sono tornato dalle vacanze. Come promesso, riporto altre pagine di Nabokov; anche in virtù di un post di Malvino, nel quale egli riportava, a sua volta, un breve post "di una signora che si dà alla recensione letteraria".
Se esistesse un Everest della creazione letteraria di tutti i tempi, Nabokov sarebbe uno dei pochi scalatori che avrebbe diritto a piantare la bandiera della propria arte straordinaria.

E propongo un enigma: quale personaggio del brano riportato esprime il vero pensiero dell'Autore circa la questione Dio?

SHADE: Tutti e sette i peccati capitali sono peccatucci, ma senza tre di essi – Orgoglio, Lussuria, Accidia – forse la poesia non sarebbe mai nata.
KINBOTE: È giusto basare le obiezioni su una terminologia desueta?
SHADE: Tutte le religioni si basano su una terminologia desueta.
KINBOTE: Ciò che chiamiamo Peccato Originale non potrà mai diventare desueto.
SHADE: Non mi pronuncio in merito. Infatti, da piccolo pensavo che si riferisse a Caino, assassino di Abele. Quanto a me, sto dalla parte dei vecchi sniffatori di tabacco, nostri maggiori: L'homme est né bon.
KINBOTE: Eppure, disobbedire al Volere Divino è una definizione fondamentale del Peccato.
SHADE: Non posso disobbedire a qualcosa che non conosco e la cui realtà ho diritto di negare.
KINBOTE: Su, su. Neghi anche che esistano i peccati?
SHADE: Ne posso nominare soltanto due: uccidere e infliggere intenzionalmente sofferenza.
KINBOTE: Dunque, uno che passi la vita in totale solitudine non può essere un peccatore?
SHADE: Potrebbe torturare gli animali. Potrebbe avvelenare le sorgenti d'acqua della sua isola. Potrebbe accusare un innocente in un manifesto postumo.
KINBOTE: E quindi la parola d'ordine è...?
SHADE: Compassione.
KINBOTE: Ma chi l'ha instillata in noi, John? Chi è il Giudice della vita, e il Progettista della morte?
SHADE: La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non dovrebbe essere una sorpresa ancora più grande.
KINBOTE: Qui ti volevo, John. Negando l'esistenza di una Intelligenza Superiore che predispone amministra il nostro aldilà individuale, siamo costretti ad accettare il concetto indicibilmente spaventoso che il Caso estenda la sua portata finanche all'Eternità. Considera la situazione. Per tutta l'eternità il nostro povero spirito è esposto a vicissitudini indescrivibili. Non c'è possibilità di appello, di consiglio, di sostegno, di protezione, niente di niente. Lo spirito del povero Kinbote, l'ombra del povero Shade possono aver messo un piede in fallo, possono, a un certo punto, aver imboccato la strada sbagliata, oh, ma soltanto per pura sbadataggine, o semplicemente per ignoranza di una regola banale del gioco assurdo della natura – se mai esistono regole.
SHADE: Esistono regole nei quesiti scacchistici: divieto di doppia soluzione, per esempio.
KINBOTE: Mi riferivo a regole diaboliche, con ogni probabilità destinate a essere infrante dalla parte avversa non appena si arrivi a comprenderle. Ecco perché la magia nera non sempre funziona, i dèmoni nella loro malignità prismatica tradiscono l'accordo esistente fra noi e loro, e noi ci troviamo di nuovo nel grande disordine del caso. Quando anche mitigassimo il Caso con la Necessità e ammettessimo un determinismo senza Dio, il meccanismo di causa ed effetto, onde dotare le nostre anime, dopo la morte, del dubbio conforto della metastatistica, dovremmo ancora fare i conti con l'infortunio individuale, il milleduesimo incidente stradale tra quelli messi in programma per la Festa dell'Indipendenza nell'Ade. No, no. Se vogliamo essere seri sull'aldilà, non cominciamo col degradarlo al livello di una storiella fantascientifica o di una cartella clinica spiritistica. L'idea che l'anima piombi in un aldilà sconfinato e caotico senza che vi sia la Provvidenza a guidarla...
SHADE: C'è sempre uno psicopompo (1) dietro l'angolo, no?
KINBOTE: Non dietro quell'angolo, John. Senza la Provvidenza, l'anima deve fare affidamento sulla pula del suo involucro, sull'esperienza accumulata durante la sua reclusione corporea, e aggrapparsi puerilmente a princìpi provinciali, a ordinanze locali e a una personalità costituita per la gran parte dalle ombre delle sbarre della propria prigione, una concezione siffatta non dev'essere presa in considerazione neppure per un istante da una mente religiosa. Quanto è più intelligente – finanche dal punto di vista di un miscredente orgoglioso! - accettare la Presenza di Dio: dapprima una fosforescenza evanescente, una pallida luce nella semioscurità della vita corporea, e un fulgore abbacinante dopo. Anch'io, anch'io, mio caro John, a suo tempo fui assalito da dubbi religiosi. La Chiesa mi aiutò a fugarli. Mi insegnò anche a non chiedere troppo, a non pretendere una immagine troppo chiara di ciò che è inimmaginabile. Sant'Agostino ha detto...
SHADE: Ma perché mi si deve sempre citare sant'Agostino?
KINBOTE: Come ha detto sant'Agostino: “Si può sapere ciò che Dio non è; ma non si può sapere ciò che Egli è”. Credo di sapere cosa Dio non è: non è disperazione, non è terrore, non è il terriccio dentro una gola rantolante, né il nero ronzio nelle orecchie che va via via affievolendosi fino a un nulla nel nulla. So anche che il mondo non può essere stato frutto del caso e che in qualche modo la Mente è un fattore essenziale nella creazione dell'universo. Nel tentativo di trovare il nome giusto per quella Mente Universale, o Causa Prima, o Assoluto, o Natura, io propongo che sia il nome di Dio ad avere la precedenza.

Vladimir Nabokov, Pale Fire, 1962, [Fuoco pallido,tr. Adelphi, Milano, 2002, pp. 221-224]

(1) Psicopompo: Dal De Mauro on line: aggettivo
1. mitol., epiteto di varie divinità greche, spec. di Ermes e Caronte, in quanto guide delle anime dei defunti verso il regno dei morti; anche s.m.
2. lett., scherz., dittatore carismatico che trascina al suo seguito una nazione.

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