Ha ragione Tommy David: l'autodisciplina bloggeristica è una specie di dolce schiavitù, è una sorta di tributo alla quotidianità, alla resistenza, alla partecipazione inconscia di un sapere collettivo. Ognuno secondo i propri mezzi, ognuno secondo le proprie possibilità, concedere la propria intelligenza o la propria bêtise, farla andare in giro per i viali peripatetici del web a cercar clienti, a offrirsi impudicamente spalancando le proprie inibizioni.
Sono certo di questo: nel mio piccolo e per la prima volta da quando ho il vezzo e il vizio di buttar giù righe, sento di fare qualcosa di buono, qualcosa che serve, prima di tutto a me stesso. La completa gratuità della cosa è un falso: io ricevo più di quanto do. E il ghigno o il sorriso, l'approvazione o il dissenso su quanto manifesto e pubblico (sia cosa mia o d'altri non importa: tutto è mio e tutto non lo è) è la moneta che mi permette di esistere, di essere qui e ora presente nella forma di me che prediligo: il pensiero, il mio “balbo parlare”:
Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare: —
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite.*
*Eugenio Montale, Ossi di seppia.
2 commenti:
Un po' come la faccenda della "gestione" del blog di cui parla questo discutibile pdf a pag. 5.
Hai espresso meglio di me cose che intendevo e sottintendevo anch'io. Te ne sono grato. :-)
Posta un commento