«Un giorno, ritornando dal W.C., trovai la porta della mia camera chiusa a chiave, e le mie cose ammucchiate davanti alla porta. Questo vi dice quanto ero stitico a quell'epoca. È l'ansietà che mi rendeva stitico, credo. Ma ero davvero stitico? Non credo. Calma, calma. Eppure lo dovevo essere, perché altrimenti come spiegare quelle lunghe, quelle atroci sedute al gabinetto, al water? Non leggevo mai, là non più che altrove, non fantasticavo né riflettevo, guardavo vagamente l'almanacco appeso a un chiodo davanti ai miei occhi, ci si vedeva l'immagine a colori di un giovane barbuto circondato di pecore, doveva essere Gesù, mi aprivo le natiche con le mani e spingevo, uno! ah! due! ah! con dei movimenti da vogatore, e non avevo che una preoccupazione, rientrare in camera mia e sdraiarmi. Era proprio stitichezza, vero? O forse confondo con la diarrea? Mi s'imbroglia tutto nella testa, cimiteri e nozze, e le diverse specie di scariche».
Samuel Beckett, Primo amore, Einaudi, Torino 1972
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